Tra le voci di un attacco israeliano contro l’Iran, la più recente è stata inclusa in un poema di Gunter Grass, premio Nobel per la letteratura che forse ha ripescato nei suoi ricordi di giovane membro delle SS qualcosa della propaganda nazista che nel 1939 accusava la Polonia di minacciare la Germania e la pace in Europa. Ora sarebbe secondo lui Israele a minacciare l’Iran e la pace del mondo. In stile e tono ben diverso anche Washington mette in guardia Israele da un attacco all’Iran, in quanto dannoso per Israele stesso. Secondo una simulazione fata dal Pentagono un solo razzo lanciato da Teheran in risposta ad un attacco di Israele ucciderebbe almeno 70 militari americani in una delle basi USA nel Medio Oriente facendo portare a Gerusalemme una responsabilità che nessun politico israeliano si assumerebbe tanto più che secondo esperti europei e israeliani stessi l’attacco servirebbe a rallentare il processo di produzione della bomba iraniana per sei mesi al massimo data l’impossibilità israeliana di danneggiare tutte le basi sotterranee della fabbricazione della bomba “islamica”. Il regime degli ayatolla ne uscirebbe rinforzato e Israele condannato a livello mondiale. Come si spiega quindi l’insistenza Israeliana a mantenere le proprie “mani libere” al punto di far sapere di aver rifiutato la richiesta americana di essere preventivamente informati dell’attacco?

La spiegazione più logica – se si escludono considerazioni di politica interna – è che si tratta di una pianificata, riuscita operazione di guerra psicologica. “La pistola più pericolosa – dice un proverbio del Far West – è quella che non ha ancora sparato”. Gerusalemme ha voluto – e sembra ci sia riuscita – a far prendere coscienza del pericolo nucleare iraniano all’America e all’Europa e spronarle a imporre all’Iran sanzioni “coi denti” di cui, del resto si notano già tentativi di Teheran a riaprire un serio dialogo sulla questione. Se questo dialogo porterà a dei risultati resta da vedere. Nel frattempo Israele rinforza la credibilità delle sue intenzioni offensive tessendo i fili di una alleanza strategica con la Bulgaria e la Grecia a rimpiazzo di quella perduta con la Turchia, creando basi aeree in Azerbaigian di fronte alle coste iraniane sul Mar Caspio il che, almeno per il momento, non sembra aver molto danneggiato la pace con la Giordania e l’Egitto, pace che un anno di rivolta araba e l’emergenza dei Fratelli musulmani non ha ancora rotte. Quanto agli Hezbollah nel Libano hanno fatto sapere che in caso di conflitto fra Iran e Israele decideranno la loro condotta “in base ai propri interessi e non sotto la spinta di fattori esterni” (leggi l’alleato iraniano). “La politica orientale, ebbe a dire una volta il presidente Sadat ai suoi interlocutori israeliano, ha una sua logica. Ma è quella dello suk” del mercato orientale.