Per il nuovo presidente egiziano Morsi celebrare i primi cento giorni al potere con 110 feriti negli scontri fra fratelli musulmani e rappresentanti di altri partiti non è stato il miglior modo di rinforzare la sua immagine.

E’ un peccato perché nella relazione al paese fatta il 6 ottobre, anniversario della guerra contro Israele nel 1973 (che il Cairo considera una grande vittoria), egli aveva affermato di essere riuscito a realizzare il 65% delle promesse fatte durante la campagna elettorale presidenziale.

Qualcosa di concreto il primo Fratello musulmano giunto al potere in Egitto ha effettivamente ottenuto. Ad esempio che volontari della Fratellanza abbiano finalmente raccolto l’immondizia dalle strade della capitale; migliaia di autisti siano stati multati; 500 criminali arrestati.

“Eleggetemi – aveva detto promesso Morsi – e in 100 giorni vi libererò dai 5 mali che più affliggono il popolo egiziano: insicurezza personale, traffico incontrollato che paralizza le strade, mancanza di pane sovvenzionato, carenza di gas da cucina e benzina e immondizie”.

I giornali indipendenti dal governo avevano allora creato, cosa senza precedente in Egitto, un “morsimetro” per controllare l’esecuzione di queste promesse. Sapendo che Morsi aveva ricevuto dal regime di Mubarak una spaventosa eredità finanziaria e strutturale si rendevano conto che non poteva fare miracoli.

Ma la gente è scesa di nuovo in piazza: il 57% degli egiziani si dichiara insoddisfatto del governo, perché il presidente ha persino mancato alla promessa che dipendeva solo da lui, cioè di nominare una donna e un cristiano copto alla vice presidenza. Lo si accusa di aver visitato 8 paesi in Asia, Europa, Africa e naturalmente New York per la conferenza annuale dell’ONU, ma solo 4 delle 27 province del paese per ascoltare i loro problemi. Lo si critica per essere andato a pregare in questi 100 giorni in 12 moschee del Cairo aggiungendo al solito caotico traffico della capitale i problemi creati dal suo seguito di 30 automobili che ricorda troppo da vicino quello del presidente del passato regime. Secondo il giornale indipendente El-Wafd Morsi non ha fatto nulla per migliorare la situazione dei più poveri, della scuola e sopratutto della sanità. Non ci sono mai stati tanti suicidi, scrive il giornale, e siamo arrivati al punto che la gente vende i propri reni –e quello che più è drammatico i reni dei propri figli – per sopravvivere. Ciononostante il governo pensa a diminuire i sussidi alimentari.

Il presidente sembra preoccupato ad accelerare l’islamizzazione dell’amministrazione soprattutto negli alti gradi mentre libera terroristi islamici condannati dal precedente regime responsabili dell’uccisione di 62 persone – in gran parte turisti – nel 1997. Apparentemente quello che ha dato fuoco alle polveri è stato l’annullamento delle cause mosse contro i “bastonatori” del passato regime che in motociclette e a dorso di cammelli avevano tentato di disperdere le folle di manifestanti sulla piazza Tahrir, prima della caduta di Mubarak.

Fra gli oppositori del presidente Morsi – tanto fra i radicali del partito islamico salafista che fra i membri dei partitini d’opposizione laici e liberali – per non parlare dei copti cristiani – c’è chi teme che egli, sottobanco, abbia contratto accordi tanto con i vertici della polizia che con quelli delle forze armate per ottenere l’appoggio o perlomeno la neutralità dei generali sia per l’approvazione della nuova Costituzione sia per quando il governo dovrà affrontare l’ira della strada per varare le misure finanziare indispensabili per i crediti esteri per l’economia.