Se la Siria diventa il Vietnam di Obama
La Siria si sta rivelando il Vietnam di Barak Obama. E’ il crollo di un politico trasformato agli inizi in simbolo. Crollo del prestigio della maggiore potenza mondiale. Fine dell’era americana come leader e “poliziotto” del mondo. Scelte strategiche sbagliate dall’inizio non solo nel mondo arabo musulmano ma in quello ebraico israeliano. Rottura della parola data. C’é da rallegrare tutti i cuori anti americani del mondo e soprattutto dei pavidi che gioiscono della caduta degli e “eroi”.
Le colpe di Obama non sono poche, prima fra tutte la sua sfrenata ambizione e mancanza di esperienza politica nascosta dietro una umiltà e buonismo che non ha spazio (e forse neppure diritto) nel nostro mondo polito e sociale.
In fondo tutto questo è secondario. Anzitutto perché democrazia e diplomazia vivono sugli sbagli dell’avversario e di sbagli gli avversari dell’Amarica ne stanno facendo e ne continueranno a fare molti. A cominciare da Putin che deve usare della libertà di stampa americana (in un paese che non ne ha) per farsi sentire dal media che contano. Ve lo immaginate il contrario?
In secondo luogo perché la politica nei rapporti internazionali non é – come diceva Voltaire per quella interna- il denaro degli altri. Per quella estera occorrono mezzi (economici e militari) e capacità di usarli assieme a una ferma volontà di leader (che Obama ha dimostrato non avere).
Per questo il suo Vietnam siriano ha tutte le possibilità di trasformarsi in vittoria americana. Anzitutto per l’effetto che avrà sul pubblico e l’elettorato americano nel futuro. E’ lo stesso fenomeno di rifiuto della sconfitta attraverso il suo superamento con nuove conquiste che ha fatto seguito alla sconfitta del Vietnam asiatico, trasformatosi poi in un trionfalismo materialista di cui l’America paga ora il prezzo.
In secondo luogo la debolezza degli avversari dell’America. Sono molti e molto invidiosi, dalla Cina al Venezuela passando per la Russia e i paesi arabi. I problemi interni della Cina sono immensi – umani, economici, morali, ideologici – e il desiderio di collaborare con l’America è maggiore a quella di collaborare con la Russia in cui continuano a vedere un avversario pericoloso. Quanto alla Russia avete mai provato a comperare un prodotto dell’industria moscovita? Una matryoshka , si ma un computer? L’incontro dei 20 Grandi a Pietroburgo ha mostrato dietro una facciata di splendore (per di più Settecentesca) l’arretratezza di un paese che pretende essere un grande potenza con una economia tipicamente coloniale e che vive di materie prime, dono della natura, ma che non sempre sa sfruttare.
La sferzata, certo dolorosa, del Vietnam siriano darà all’America, come quella del Vietnam asiatico una marcia per riprendere il suo posto nel mondo e cercare di curarsi degli effetti del cocktail soporifico di una finanzia sfrenata e immorale mescolata ad un a leadership – nel senso più ampio -fotogenica ma di basso livello.
La nuova era americana – pace agli ideologi di salotto o di piazza – è appena incominciata. Sta a ciascuno di noi “saltarci sopra”.