Il 21 settembre di 24 anni fa, il giudice Rosario Livatino veniva ucciso in un agguato di stampo mafioso in Sicilia. Livatino aveva una idea molto netta e chiara sulla responsabilità civile delle toghe e la spiegò in delle riflessioni, quantomai attuali, che l’Ansa riporta alla luce.

“Non esiste, si può dire, atto del giudice e più ancora del pubblico ministero che possa dirsi indolore. Ogni giudice, quindi, nell’atto stesso in cui si accingesse alla stipula di un qualsiasi provvedimento, non potrebbe non domandarsi se per caso dal suo contenuto non gliene possa derivare una causa per danni. E sarebbe quindi inevitabile ch’egli si studiasse, più che di fare un provvedimento giusto, di fare un provvedimento innocuo”, argomentava Livatino.

Che poi aggiungeva: “Come possa dirsi ancora indipendente un giudice che lavora soprattutto per uscire indenne dalla propria attività non è facile intendere. Né si dica che le parti raramente ricorrerebbero a questa possibilità. La facilità con cui, specialmente in certe regioni, si ricorre all’esposto contro il giudice, anche per i più ingiustificati motivi, autorizza la previsione che una riforma del genere aprirebbe subito un ampio contenzioso. La colpa del giudice, se c’è, è sempre grave per definizione, data dall’importanza degli interessi sui quali egli dispone. L’altro effetto perverso, che potrebbe essere indotto dalla riforma, sarebbe quello di indurre il giudice al più rigido conformismo interpretativo: per cautelarsi contro il pericolo di seccature. Gli effetti più devastanti di una proposta del genere si avrebbero in materia penale. Se l’organo dell’accusa sa che le sue iniziative investigative possono costargli, quando non ne seguisse una condanna, una causa per danni, ci si può chiedere se sarà mai più possibile trovare un pretore od un pubblico ministero che di sua iniziativa intraprenda la persecuzione di quei reati che per tradizione o per costume o per altro nel passato erano raramente perseguiti. Ci si può chiedere ancora se si troverà un giudice che, in presenza di un reato che consente ma non impone la cattura, avrà l’ardire di imprigionare, ad esempio, un bancarottiere per qualche miliardo, quando rifletta alle conseguenze che gliene potrebbero derivare se, per caso, costui venisse assolto. Questo è l’effetto perverso fondamentale che può annidarsi nella proposta di responsabilizzare civilmente il giudice”.

Sono riflessioni sicuramente non banali, seppur scritte da un diretto interessato.

Sempre sullo stesso filone, ho trovato questo articolo di Repubblica datato novembre 1988, in cui vengono riportate le parole del giudice Giovanni Falcone durante un convegno del Movimento per la Giustizia, poco tempo dopo il risultato del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Cito le parti più salienti:

“Gli italiani non ci vogliono più bene? Per forza: siamo incompetenti, poco preparati, corporativi, irresponsabili. (…) Non può non riconoscersi che il referendum, a prescindere da qualsiasi sua strumentalizzazione, ha consentito di accertare, senza equivoci, un dato estremamente significativo: e cioè che la stragrande maggioranza dell’ elettorato ritiene che la funzione giurisdizionale non è svolta attualmente con la necessaria professionalità e che bisogna porre rimedio alla sostanziale irresponsabilità dei magistrati. La gente non si fida di come lavorano i giudici. Bisogna riconoscere responsabilmente, in altri termini, che la competenza professionale della magistratura è attualmente assicurata in modo insoddisfacente (…) Il linguaggio è chiaro: l’ azienda giustizia deve garantire un servizio ai cittadini, questo servizio è cattivo, non si vede perché non adottare quei criteri di rendimento e competitività che una qualsiasi azienda usa per evitare il fallimento (…) Autonomia e indipendenza sono valori che vengono sempre più interpretati dalla società come inammissibili privilegi di natura corporativa. E invece vanno difesi proprio garantendo un servizio-giustizia efficiente e adeguato”.

Al netto dell’importanza e delle differenze sostanziali tra le due posizioni, ad oggi ci sono solo due certezze: entrambi i giudici sono stati uccisi dalla mafia e il dibattito sulla responsabilità civile delle toghe tiene ancora banco. Senza trovare però una soluzione.

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