La maschera di ferro
Salta la politica, spuntano fuori le armi e i servizi (deviati) si risvegliano. Coincidenze? Quando viene a mancare la politica con la P maiuscola, stranamente la ‘ndrangheta scende in campo perché sente che lo Stato è più debole. E perché sa che la risposta dello Stato è sempre quella sbagliata: carri armati, commissariamento, decapitazione della classe politica per via giudiziaria. Che tempismo.
Attenzione: non voglio assolvere nessuno né condannare quei magistrati coraggiosi che se ne fottono delle stagioni politiche e vanno avanti con le indagini indipendentemente dalle conseguenze politiche delle loro azioni. Quella con la ‘ndrangheta è una guerra, non è un pranzo di gala. Ma il cortocircuito istituzionale che si è creato con le dimissioni necessarie del governatore calabrese Giuseppe Scopelliti e le sue accuse alla magistratura fa il palio con il prolungamento del commissariamento al Comune e l’avvicinarsi inesorabile della dichiarazione di dissesto. E in questa palude la ‘ndrangheta si muove come un coccodrillo in agguato.
Qualcosa bolle in pentola, ma cosa? Che la ‘ndrangheta si voglia riposizionare politicamente? Ieri hanno tritrovato un arsenale, c’è chi parla di un possibile attentato, forse ai magistrati. Ma come sono state rintracciate le armi? L’ultima volta era stato merito di Giovanni Zumbo, l’ex 007 al servizio dei politici e dei boss già condannato in primo grado a 16 anni e otto mesi dal tribunale collegiale di Reggio Calabria, presieduto da Olga Tarzia (la stessa giudice che ha condannato Giuseppe Scopelliti) nel processo Piccolo Carro. Di Zumbo e dei suoi rapporti con i servizi segreti avevamo parlato con Antonino Monteleone su Madu’ndrina.
Il commercialista reggino il 21 gennaio 2010 aveva spifferato a un carabiniere tuttora indagato per falso, nel giorno della visita a Reggio Calabria di Giorgio Napolitano, che c’era un’auto carica di armi ed esplosivo a poche centinaia di metri dall’aeroporto «Tito Minniti». La soffiata era stata suggerita, così dissero i pm, dal boss Giovanni Ficara che avrebbe voluto accollare la responsabilità al cugino Pino, con cui era in attrito per motivi d’affari. Zumbo è l’uomo che molti mesi prima della maxiretata legata all’inchiesta Crimine rivela al boss Giuseppe Pelle, proprio davanti allo stesso Ficara, l’esistenza della maxioperazione che scatterà solo il 13 luglio 2010.
Ma Zumbo è stato per molti anni custode giudiziario per conto dei Tribunali, ha lavorato anche nella segreteria di Alberto Sarra e tramava nell’ombra (si è beccato cinque anni nel processo in abbreviato Archi-Astrea) anche nella società Multiservizi, la municipalizzata infiltrata dalla cosca Tegano di cui avevamo denunciato su Madu’ndrina e in tempi non sospetti – già a fine 2010 – il rischio di contaminazioni, come è avvenuto anche per la Leonia.
Qualcuno si chiederà: ma che c’entrano i servizi segreti con quello che sta succedendo a Reggio? Zumbo ha lavorato per loro, ma non è né il primo né l’ultimo. Nella liason dangerous tra Stato e ‘ndrangheta iniziato negli anni ’70 non si è scritto forse abbastanza. Tanto per dirne una: negli anni ’90 saltò fuori che un mammasantissima della ‘ndranghetista come Antonio Nirta sarebbe stato piazzato nelle Br, tanto da finire nel commando di via Fani (di cui in questi giorni ricorre l’anniversario) dal generale dei carabinieri di origini reggine Francesco Delfino, condannato nel 2001 dalla Cassazione per aver sottratto 800 milioni di lire dalla famiglia Soffiantini in cambio della liberazione dell’imprenditore al quale era legato da un rapporto di amicizia.
Ma il generale Delfino è il protagonista di un pezzo di storia molto complicato: è stato coinvolto e poi assolto per la strage di Piazza Fontana, uno dei primi casi di depistaggio dei servizi segreti deviati e ancora senza colpevoli; Delfino era capocentro dei servizi a Londra quando venne trovato il cadavere di Roberto Calvi; fu lui ad arrestare Flavio Carboni e a rintracciare l’ex 007 Francesco Pazienza, entrambi coinvolti nel crac del Banco Ambrosiano in cui (pare) ci fossero anche soldi della ‘ndrangheta; fu decisivo per l’arresto di Totò Riina grazie ad alcune dritte che gli arrivarono dall’ex autista del capo dei capi, Balduccio di Maggio anche se qualcuno sospetta che a consegnare Riina allo Stato sia stato Bernardo Provenzano dopo le bombe di Capaci e via d’Amelio nella famigerata e presunta trattativa Stato-mafia.
Già, la famosa trattativa Stato-mafia. C’è stata? E che ruolo ebbe la ‘ndrangheta in quegli anni? Qualcuno dice che la ‘ndrangheta non fosse d’accordo con la strategia stragista di Totò Riina ma che venne ovviamente informata di tutto. Qualcun altro sostiene che l’esplosivo usato per via d’Amelio arrivi da Laura Couselich o Laura C, la nave carica di rifornimenti salpata dal porto di Venezia nel 1941 e affondata da un sommergibile inglese sul fondo sabbioso di Saline Joniche con almeno 1.500 tonnellate di tritolo. Come scrive QuiCalabria nel 1995 i Ros di Reggio avviano un’inchiesta, alcuni pentiti (Vincenzino Calcara, Emanuele Di Natale e Carmine Alfieri) dicono che quello era un supermercato per mafia, camorra e Sacra Corona Unita. Ma solo nel 2003 (otto anni dopo) il genio militare per la Marina cementifica le stive. Però nel 2004 spuntano tre panetti di tritolo nascosti in un bagno di Palazzo San Giorgio. Per gli inquirenti è un attentato intimidatorio contro Giuseppe Scopelliti, allora ancora sindaco di Reggio.
A noi uno 007 disse che l’esplosivo trovato allora «era T4», cioè ciclotrimetilene trinitramina o Rdx, un esplosivo militare usato da quasi tutti gli eserciti del mondo e maggior componente del più noto C4. Le bombe del 1992 e del 1993 erano a base di T4, come l’esplosivo usato per le stragi di Bologna e del Rapido 904. Nel 2010 sette tonnellate di T4 vennero intercettate a Gioia Tauro: arrivavano dall’Iran ed erano dirette in Siria. Coincidenze? Gioia Tauro e Saline Joniche sono i luoghi chiave del pacchetto Colombo deciso all’indomani dei moti di Reggio Calabria, quando la città – aizzata anche da qualche rampollo armato fino ai denti pronto a fare la guerra allo Stato – insorse contro l’attribuzione del capoluogo di provincia a Catanzaro.
La mia città è nata e morta in quei giorni. Sono convinto che assieme all’addio al capoluogo venne deciso a tavolino anche il declino di Reggio, mentre la ‘ndrangheta si trasforma nella potentissima holding internazionale monopolista del traffico di stupefacenti grazie ai soldi dei sequestri e grazie a un canale privilegiato di «dialogo» con lo Stato e con la politica, con l’istituzione della Santa con i nuovi ‘ndranghetisti che possono – anzi devono – tessere rapporti con politici, funzionari pubblici, professionisti, eccetera, in spregio alle vecchie regole della mafia tradizionale tanto care al boss vecchio stampo Antonio Macrì da Siderno che anche per questo motivo viene ucciso.
Nei giorni scorsi un pentito ha detto che le bombe a Reggio nel 2010 impedirono alla mafia di uccidere dei magistrati e persino l’allora Guardasigilli Angelino Alfano. Corsi e ricorsi storici? E se la ‘ndrangheta – come la mafia e la camorra – fosse soltanto una holding del crimine che lavora per conto dello Stato e a cui pezzi di Stato offrono delle coperture sul traffico di stupefacenti in cambio di qualche lavoretto sporco, da Moro a Calvi, da via d’Amelio alla strage di Bologna con l’aiutino degli Zumbo di turno? Chi c’è dietro la maschera di ferro che lo Stato tira fuori ogni tanto? Sono questi gli Invisibili a cui dà la caccia il pm Lombardo?