Quale futuro per l’Islam?
L’islam radicale si sta insediando nelle periferie europee o è il radicalismo ad essersi islamizzato? Lo abbiamo chiesto, assieme alla disamina di altre questioni legate alla fede musulmana, al Professor Alberto Ventura, orientalista italiano, titolare dal 1995 della cattedra di “Islamistica” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, poi direttore, dal 2002 al 2007, del Dipartimento di Studi Asiatici della stessa Università.
Dal 2007, inoltre, Ventura è titolare della cattedra di “Storia dei Paesi islamici” presso l’Università della Calabria. Infine Ventura è membro della Commissione Nazionale Italiana dell’UNESCO e del Consiglio Scientifico dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO) di Roma.
Professor Ventura, una lista composta da 126 autorità mondiali sunnite hanno ribadito la differenza tra la linea di Maometto e quella intrapresa dal Califfato dell’Isis. Davvero i sunniti e la loro visione religiosa non hanno alcuna attinenza con Daesh?
La lettera aperta alla quale lei si riferisce, inviata nel settembre del 2014 al Califfo al-Baghdadi e firmata da numerose autorità dell’islam tradizionale, è solo una delle numerose e costanti reazioni contro un Califfato che la maggior parte del mondo musulmano considera decisamente eretico e illegittimo. Le autorevoli prese di posizione contro l’Isis si contano ormai a decine, ma risultano poco visibili qui da noi e poco efficaci sul piano politico più generale, perché questi rappresentanti della tradizione non possiedono mezzi di comunicazione, non alimentano partiti e movimenti, non hanno armi e combattenti. L’attuale “Stato Islamico” può essere definito una corrente religiosa a sé stante e del tutto inedita, anche se è l’ultimo esito di una lunga incubazione, che nel tempo ha visto prodursi diverse tendenze ideologiche rigoriste: i Wahhabiti dell’Arabia Saudita, innanzitutto, e poi i Salafiti del primo Novecento, i Fratelli Musulmani, le frange violente del jihadismo più recente; ma nessuno di questi fenomeni, per quanto abnormi, si era finora allontanato così tanto dai princìpi più generalmente accettati dall’islam.
Cosa ne pensa dell’attuale situazione dell’Egitto? E di quella in Libia?
Le cosiddette “primavere arabe”, benché innescate in origine da motivazioni simili, hanno avuto esiti molto diversi da Paese a Paese. In Egitto, la vittoria elettorale di un partito di ispirazione islamista ha infine provocato una reazione dei militari, da sempre attori fondamentali della politica egiziana, e abbiamo così assistito a una vera e propria “controrivoluzione”. In Libia, invece, la rivolta si è ben presto trasformata in una guerra civile, e l’intervento militare internazionale che ne è seguito ha avuto conseguenze profondamente destabilizzanti, lasciandoci un territorio francamente ingovernabile.
Dopo la cosiddetta “rivoluzione colorata”, alcuni commentatori sostengono che in Egitto, con Al Sisi, si sia instaurata una vera e propria dittatura. E’ veramente così?
Bisognerebbe intendersi su cosa intendiamo per “dittatura”. Quello che è certo è che in Egitto, sin dai tempi della nascita della Repubblica negli anni Cinquanta del Novecento, i militari hanno esercitato un potere molto ampio, instaurando un regime democratico nella facciata ma estremamente autoritario nella sostanza. Al Sisi, tutto sommato, non mi sembra discostarsi granché dalla linea seguita prima di lui dai vari Nasser, Sadat, Mubarak.
Le elezioni francesi hanno nuovamente messo in risalto il problema delle banlieue. Degrado sociale, jihadismo e criminalità sembrano intersecarsi senza troppi distinguo. Alcuni ritengono ci sia un vero e proprio progetto di radicalizzazione islamica in quelle periferie. Cosa ne pensa?
Un profondo analista di questi fenomeni, il francese Olivier Roy, ha detto che non ci troviamo di fronte a un islam che si sta radicalizzando, ma piuttosto a un radicalismo che si è islamizzato. Ciò significa che l’ideologia prevalente dell’antagonismo di certe periferie europee è sì islamica, ma la sua motivazione religiosa non ne rappresenta il fondo reale, che è piuttosto quello di un disagio di natura più sociale che spirituale.
Qual è l’influenza degli wahhabiti in Occidente in termini finanziari ed in termini geopolitici?
In entrambi gli aspetti, cioè sia sul versante economico che su quello delle strategie internazionali, l’Arabia Saudita rappresenta un elemento di primo piano negli intrecci della politica globale. Il wahhabismo, che è l’anima religiosa della dinastia saudita, esercita forse una maggiore influenza sul mondo islamico che non sull’Occidente, dove è preferibile sorvolare sull’intransigenza religiosa dei Sauditi, che rimangono alleati essenziali dei governi europei e americano.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali, Donald Trump propose di inserire i Fratelli Musulmani tra le organizzazioni terroristiche. Sarebbe d’accordo?
La qualifica di “terrorista” è di fatto molto elastica, e può essere applicata a piacere a seconda delle necessità politiche o elettorali. E’ indubbio che i Fratelli Musulmani siano stati una delle prime manifestazioni di ciò che oggi chiamiamo il fondamentalismo islamico, ma di qui a considerarli in blocco dei terroristi ce ne corre. Nel complesso direi che, sebbene alcuni fra i movimenti del radicalimo violento possano vantare ascendenze più o meno lontane dalla Fratellanza, definire quest’ultima come terroristica è senz’altro fuori luogo.
Lei ha recentemente scritto un libro uscito per Adelphi sull’esoterismo islamico. Ci spiegherebbe a grandi linee quali sono le direttrici principali di questo suo studio?
L’esoterismo islamico, anche noto come Sufismo, rappresenta la componente più suisitamente spirituale della civiltà islamica. Il suo pensiero, del quale nel mio libro ho cercato di sintetizzare gli aspetti essenziali, si presenta come una dottrina metafisica di grande profondità, paragonabile ad analoghe espressioni della sapienza orientale, ma anche con numerosi tratti in comune con il patrimonio spirituale dell’Occidente antico e di quello medievale. Il Sufismo vivente e le sue confraternite coinvolgono vaste fasce delle odierne popolazioni islamiche, e rappresenta l’unico vero antidoto contro ogni forma di fondamentalismo ideologico, contro il quale non risultano evidentemente efficaci né gli intellettuali laicizzanti, né i religiosi cosiddetti moderati, né le politiche dei governi secolari.