Molti studiosi sostengono che la natura, nel senso della realtà, possa ribellarsi in qualsiasi momento. Le statistiche previsionali, quando si tratta di catastrofi come quelle pandemiche, non servono poi a molto. Perché l’orario di lavoro di un virus non può essere segnato in anticipo su un calendario. Vale per le epidemie, ma anche per le eruzioni, per i terremoti, per i maremoti e così via (non senza qualche differenza). Così come non può essere prevista la data in cui avrà luogo uno spillover, un salto di specie del patogeno virale dall’animale all’uomo. Le cose insomma accadono senza che l’umanità possa prevenirle più di tanto. Poniamo il caso del virus Hendra: un cavallo australiano beve da una pozza creatasi sotto un albero in cui dimorano i pipistrelli. Una malattia mortale si trasmette dunque dal chirottero al cavallo, che contagia sia altri equini sia i suoi proprietari umani, che contagiano a loro volta familiari e conoscenti. Alcuni, tra esseri umani e cavalli, muoiono a causa di una terribile polmonite. Se il cavallo non avesse dimorato sotto quell’arbusto, il virus non si sarebbe diffuso. Chi avrebbe potuto evitarlo? A logica nessuno. Storie come questa sono state raccontate da David Quammen. Ma il punto è che non sono favole: il mondo funziona anche così.

Gli scienziati si interrogano ogni giorno sugli scenari del futuro, ma tra il porsi domande e l’individuare soluzioni risolutive passa parecchia acqua. La pandemia da Covid-19 ha posto domande nuove a tutta l’umanità, ambito scientifico compreso. Le responsabilità, prescindendo dall’origine del Sars-Cov2, sono molto difficili da distribuire. E nessuno, in cuor suo, può negare il carattere caotico ed imponderabile di un “cigno nero” della portata di questo. C’è un momento, però, in cui i giudizi di merito e di valore attorno alle responsabilità possono mutare: è quello in cui la politica si rende conto dell’esistenza di un problema. É il momento, insomma, il cui il legislatore diviene deputato a scongiurare il peggio. Il libro nero del coronavirus, l’ultima fatica giornalistica di Andrea Indini e Giuseppe De Lorenzo, solleva più di qualche interrogativo su cosa sarebbe potuto accadere in Italia se le istituzioni avessero preso iniziative utili per tempo.

Che cos’è il ““Piano nazionale sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19”? Possibile che il governo giallorosso lo abbia tenuto in un cassetto, nonostante la situazione volgesse al tragico? Le nazioni, in fin dei conti, non possono essere del tutto sprovvedute dinanzi a quadri epidemici o pandemici. Quando abbiamo intervistato il dottor Massimo Cannavicci, per esempio, abbiamo appreso i meccanismi di funzionamento di un sistema, il Medical Intelligence: “La filiera prevede anzitutto che il servizio di Medical Intelligence sia allertato, a livello locale o a livello internazionale, da alcuni rapporti, che provengono da altri Paesi, da altri servizi o da osservazioni fatte in loco. Dunque, il Medical Intelligence – ha proseguito l’ausiliario, che ha contribuito alla creazione del servizio – intercetta un rischio sanitario. E, acquisite le informazioni, viene valutato il rischio sanitario, che va studiato anche mediante delle vere e proprie analisi: si deve circoscrivere cosa comporta questo rischio sanitario in termini di diffusione ed in relazione all’impatto con la popolazione”. E ancora: “Quindi il Medical Intelligence stila, una volta raccolte ed analizzate queste informazioni, un rapporto che il direttore del servizio trasmette al suo referente, che è o direttamente il presidente del Consiglio o il delegato della presidenza ai servizi ed alla sicurezza. Una volta che il presidente del Consiglio riceve il rapporto, il presidente del Consiglio valuta il da farsi. Probabilmente, il Pdc ne parlerà con i ministri interessati…”.

Prescindendo dal caso di specie del Covid-19, in buona sostanza, non è corretto pensare che l’Italia, con le istituzioni preposte, non si fosse mai posta il problema di una pandemia virale. Anzi, esiste più di un suggerimento che lascia supporre il contrario. Diviene dunque fondamentale chiedersi se la politica si sia mossa con i giusti tempi, in questa storia dove ventiquattro ore possono influire eccome sugli effetti sulla salute pubblica. Ma questo relativo al “piano segreto” è solo uno degli ambiti indagati da Andrea Indini e Giuseppe De Lorenzo. Citiamo un estratto del libro che riguarda un altro tema: “La prima «rigorosa limitazione» all’accesso di visitatori nelle case di riposo viene inserita solo nel Dpcm del 1° marzo ed è riferita esclusivamente ad alcune regioni. L’indicazione generalizzata alle residenze di tutta Italia di limitare «l’accesso di parenti e visitatori» arriverà solo con il Dpcm del 4 marzo. Per quasi due settimane, dunque, i parenti continuano a fare avanti e indietro nelle strutture, rischiando di portare con loro il contagio. Non sarebbe stato meglio agire subito in tutto il Paese? Senza contare che il primo rapporto dell’Iss dedicato alla prevenzione e al controllo dell’infezione nelle Rsa arriverà addirittura il 16 marzo, due mesi dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. Non si poteva predisporre prima?”. Un ritardo che può aver inciso sulle statistiche sciorinate ogni giorno dalla Protezione civile.

Le cose accadono – dicevamo -, ma una volta che sono accadute la politica non può non prenderne atto, intervenendo. Altrimenti i disastri non possono che susseguirsi a mo’ di effetto domino. E l’inchiesta dei due cronisti – che è stato edita da Giubilei-Regnani e che trovate qui – è in grado di ricostruire per filo e per segno quello che è accaduto durante le settimane che hanno sconvolto tutta la popolazione italiana. Il testo – com’era pronosticabile (in questo caso i pronostici sono molto meno complessi) sta già facendo discutere. Anche perché una sensazione per cui le toppe siano state messe in ritardo è abbastanza comune tra la popolazione. Come dimenticarsi, del resto, della sottovalutazione iniziale dell’epidemia? Citare gli ormai noti aperitivi politicamente corretti del centrosinistra rischia di essere un esercizio utile. Leggendo il libro d’Indini e di De Lorenzo, invece, si scoprono delle falle. In alcune circostanze, è il silenzio del legislatore ad emergere. La politica ha avuto delle responsabilità precise nell’intervenire in ritardo, nel commettere degli errori o nel non intervenire? Sarebbe potuta andare in modo diverso? Indini e De Lorenzo hanno anche risposto a questi quesiti. Il che è necessario non solo per il quadro pandemico odierno, ma anche per quelli futuri.

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