La maturità non serve a niente
Cari studenti,
state facendo o avete finito da poco gli esami di maturità. Bene, scoprirete presto che non servono a nulla. Siete in quello che vi raccontano essere il periodo più importante per la vostra formazione culturale e per i vostri destini lavorativi. Nulla di più fallace. Il sapere di Stato, quello che vi chiedono di ratificare, se non altro, non è capace di sviluppare nessuno dei vostri talenti. I vostri doni. L’ideologia che vi propinano sottilmente, forse, voi neppure l’avvertite, ma c’è. Vi assicuro che c’è. Risiede nella scelta degli autori epurati, nella scientificità con cui selezionano con attenzione quello che non potere leggere, ma tranquilli: ci sarà tempo per la libertà. Non è questione di salire sulla cattedra in piedi come Joan Keating nell’ “Attimo fuggente”, no, quella è esattamente l’ ideologia che vi inculcano, con successo peraltro. “Capitano mio capitano”, del resto, prova ad insegnarvi che la vita è tutto un “carpe diem”, che la cultura sia tutto un mordere il momento emotivo ( tra l’altro interpretando malissimo Orazio). Ma non è vero. L’apprendimento di nozioni, forse, rileva in questa misura, ma il sapere, quello che per qualcuno non è conoscibile, ha trovato residenza più facilmente sulle ginocchia robuste dei vostri nonni, e sui loro insegnamenti, che in 13 anni di percorso scolastico statale. Vi giuro.
Imparatele quelle nozioni, prendeteli quei bei voti, sperando che vi servano per qualche limite concorsuale o per evitare salassi universitari, ma non fateci troppo affidamento. E se non vi fidate di me, ascoltate Pasolini, ( estendendo un attimo il ragionamento oltre gli obblighi scolastici) quando scriveva: “La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento ecc: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare , col loro insieme, un piccolo borghese schiavo…”. Un piccolo borghese schiavo, appunto. Di una visione del mondo totalizzante per cui la vostra alternanza scuola-lavoro è presumibilmente più facile da rintracciare in un Mc’Donald che in una biblioteca. E voi ci credete davvero in uno Stato che vi manda a “lavorare” nei fast food, ma vi ribadisce insistentemente che “studiare è tutto”?
Studiare cosa, poi? Studiare come? Libri di testo ultraideologici che saltano a piè pagine interi capitoli di narrazione patria, che fanno dell’uso storico degli avvenimenti una questione strettamente politica. Quando siete fortunati. Partitica, quando lo siete meno. Le materie umanistiche, ce lo siamo detti spesso in questo blog, svuotate di significato e rese caricature di sè stesse. Private del valore identitario che naturalmente rappresenterebbero. “La filosofia non serve a niente”, vi dicono e il termine “classico” è diventato la parolaccia del secolo corrente. Le lingue “morte”? Nell’oblio. Noi dimentichiamo il latino, noi, gli americani e i cinesi se ne innamorano, lo studiano, ci investono. Chi per definizione è estraneo al nostro patrimonio artistico e culturale, rincorre la nostra identità, la stessa che noi ripudiamo.
Caro studente, davvero, fottitene! E ragiona, magari, su quegli psicofarmaci per l’ansia che sei dovuto arrivare a prendere. Potrebbero esistere anche dei rimedi natuali, sai? C’è una scena di un film di Paolo Virzì, Ovosodo, uscito nel 1997. Narra dell’ultimo anno di liceo di un gruppo di ragazzi di Livorno. La scena finale è quella dell’orale dell’esame di maturità del protagonista. Ad un certo punto, il professore sbotta e dice al maturando: “Ricapitoliamo: Carducci sarebbe trombone, Pascoli stucchevole, Manzoni paternalista. Ci parli lei di un autore che merita il suo apprezzamento”. Il tizio risponde con un serpentone di banalità da pensiero debole ( Benni, Pennac, Pazienza…). Pensa, ti prego, a quanto avrebbe dimostrato di essere libero, quello studente, se avesse risposto: “Quest’anno ho letto tante bellissime cose, Louis Ferdinand Celine, Ezra Pound, Curzio Malparte, i fumetti sul martirio di Sergio Ramelli, che secondo me hanno una loro dignità letteraria. Poi quel fantastico libro di Tolkien sui pericoli del potere, e la biografia di Bettino Craxi, quell’uomo ha avuto una vita incredibile, ma… conoscete vero? Eh? Lo conoscete? No, non lo conoscete?”.