La Cgil si è convertita allo smartphone
Smartphone in classe sì, Smartphone in classe no. Il dibattito sul futuro della scuola italiana è ridotto all’osso. Quando il ministro Fedeli si insediò, la sensazione fu che dopo il disastro “Buona Scuola”, qualcuno volesse tentare di placare gli insegnanti. La Fedeli è una sindacalista, i sindacati hanno smesso di manifestare. Operazione riuscita. E come nel caso di quel collega che non piace a nessuno, ma per cui tutti fanno finta di sì, al fine di tenere sempre buoni rapporti, la Fedeli tra una gaffe è un’altra rimane comunque una di loro. Dei sindacati, intendo. E infatti sono iniziate le scuole, ma manca il consueto trambusto scioperante. La Fedeli canta per lo ius soli, la Fedeli dichiara di voler aumentare gli stipendi degli insegnanti, di voler battagliare per riqualificare la professione di docente. La Fedeli fa parte del governo, ma continua a comportarsi da sindacalista, come se “loro” dovessero sbrigarsi a “fare” altrimenti finirà che “noi” andremo sulle barricate. Come un’infiltrata nel mondo dei regnanti, la Fedeli potremmo ritrovarcela in prima fila con uno striscione in mano a manifestare contro il governo di cui fa parte. E i sindacati, forse, non direbbero nulla ed anzi plaudirebbero. Forse le darebbero persino il megafono e la facoltà di alimentare i cori. E’ una di loro, una loro dirigente. Sù le bandiere rosse!
Adesso è tutto ok, è una di loro si diceva. Parità di genere nelle scuole, ideologia gender, promesse di aumenti, 85 euro nel Def, canzoni per lo ius soli. Tutto ok, tutto passato. La traversata è stata lunga, ma ce l’hanno fatta: problemi scomparsi. Come se della scuola in sè, dei suoi strutturali problemi, non importasse nulla a nessuno. L’etichetta ideologica, quella sì, quella conta. A sinistra. Dove i sindacati si sono convertiti dalla lotta allo smartphone. L’unica emergenza di cui, riguardo alla scuola italiana, attualmente si discute.