Lega Nord, 4 punti per arrivare al governo
La crescita nei sondaggi c’è, pure se non ai livelli di qualche mese fa. I buoni risultati alle regionali possono permettere di guardare al futuro con ottimismo, il ritrovato ruolo di un leader carismatico fa pensare a prospettive di continua crescita e oggi la Lega Nord può potenzialmente proporsi come primo partito d’opposizione a Renzi, nonché al suo PD in versione Piazza del Gesù. Il Carroccio tuttavia porta con sé delle tare e delle problematiche ereditate dal passato, da quando il corso nazionale del partito era una idea lontanissima, e oltre i confini padani i consensi scarseggiavano ben più di oggi. Per costruire una forza di respiro fortemente nazionale e in grado di giocarsi le sue carte non solo tra i confini peninsulari, ma pure in Europa e negli scenari globali, servono alcuni correttivi che potrebbero dare nuova linfa al partito e proiettarlo in dimensioni e proporzioni politiche del tutto nuove e inaspettate. Ne elencheremo alcuni.
1) Rivedere completamente il proprio background geopolitico.
La destra nazionale italiana, o presunta tale, ha ereditato una singolare visione dei dissidi tra Stati Uniti e Russia, e una visione ancor più strana (o distorta) della figura di Vladimir Putin. Risalendo probabilmente ai cordiali rapporti intercorrenti tra George W. Bush e l’attuale leader del Cremlino, l’idea nostalgica è rimasta quella di un nuovo avvicinamento tra USA e Russia, in ottica prettamente occidentale e liberale. Una visione vecchia e non corrispondente ad uno scenario in cui gli USA continuano, attraverso rivoluzioni colorate, esportazioni di democrazia, pinkwashing e primavere arabe, ad erodere qualsiasi parte del globo non rassegnata a finire invischiata tra le maglie della globalizzazione economica e non, guidata dalla Pax Americana dei vari Barack Obama e Hillary Clinton. La Russia non è la spalla sinistra di questo sistema, ma è l’unico baluardo politico e pure militare presente per sviluppare una deterrenza nei confronti di queste operazioni. Con buona pace dei fallaciani di casa nostra, ricordiamo l’essenziale ruolo di Putin in Siria, non solo attraverso gli aiuti forniti al regime di Assad, ma pure nell’aver evitato un intervento della coalizione NATO in Medioriente, con la concreta possibilità di ritrovarci un governo in odore di fratellanza musulmana o di estremismo wahabbita, estremismo oggi combattuto dal solo Assad e dai suoi alleati Hezbollah e iraniani, musulmani che pure intrattengono ottime relazioni e rapporti con la Russia. C’è quindi bisogno di fare una scelta chiara, e di smetterla di cercare di mettere il piede in due scarpe che non calzano più. O si sceglie la continuità, e ci si schiera con gli USA, con la globalizzazione e l’egemonia NATO, o si continua un progetto definito in chiave putiniana, il che vuol dire parlare di più di Assad, dell’aggressione a Gheddafi, significa non offendere l’Iran e rendersi conto della sua utilità geopolitica nel medioriente. Significa difendere attivamente la Novorussia non solo perché in Crimea ci sono le aziende dei piccoli imprenditori veneti o per levare le sanzioni, ma perché si crede fortemente nella giustizia della lotta dei novorussi e nel loro diritto all’autodeterminazione contro un governo illegittimo e violento. E sempre a proposito di identità nazionale e autodeterminazione, un partito che veramente vuol fare suoi questi due termini può pure iniziare a porsi il problema della questione palestinese, perché se ci si batte per il diritto di tutti i popoli ad avere una nazione, il votare “NO” alla mozione di riconoscimento dello stato arabo appare più che altro come un clamoroso testacoda, promosso per non ledere interessi che, purtroppo, evitiamo puntualmente e tristemente di ridiscutere ogni volta che ne avremmo l’occasione.
2) Superare Oriana Fallaci
Stretta conseguenza del primo punto. Non ha più senso riproporre una tanto facile quanto fuorviante visuale granitica dei rapporti tra Islam e Occidente in cui il primo è identificato con il male assoluto e il secondo con il Bene da difendere a spada tratta. Nel corso del Novecento, dall’Afghanistan passando alla Bosnia fino alla Cecenia, alla Libia e oggi alla Siria abbiamo innumerevoli testimonianze di come l’islamismo estremista sia stato utilizzato, dall’Occidente, per limare e corrodere qualsiasi nazione e qualsiasi regime capace di opporsi al dominio della geopolitica a stelle e strisce. Parlare meno di Oriana Fallaci, che lasciamo volentieri ai dem-lib-lib con il culto per il libero mercato e il sogno americano, parlare di più di Assad, di Iran, di Al-Sisi, della dannosità delle primavere arabe e, soprattutto, dei loro direttori d’orchestra, tutti rigorosamente occidentali e dall’accento anglosassone, o al massimo francese.
3) Superare la ridondante retorica anticomunista.
Altro discorso meritano i rapporti tra Salvini, la Lega e il panorama della sinistra italiana. Se siamo tutti concordi nel dire che il background politico e culturale dell’area democratica e dirittumanista è di uno squallore sconcertante, va pure detto che ciò che la sinistra oggi mette in campo è tutto fuorché un messaggio riconducibile al marxismo o al comunismo. La sinistra che promuove una immigrazione selvaggia, i progressisti innamorati di Obama e delle primavere democratiche, piuttosto che i soloni da salotto e i guru accademici da 4000 euro al mese abbonati al PD non hanno niente a che fare con il mondo del piccolo lavoro salariato, con la concorrenza sleale della manodopera clandestina, e neppure con quell’esercito industriale di riserva di cui parlava Marx, preconizzando le miserie di oggi e il pure il doppiogioco di parte del grande sindacato, CGIL compresa, che di una logica nazionale di tutela del proletariato indigeno proprio non vuol sentir parlare, affascinata forse dall’esotismo del Migrante di turno (rigorosamente maiuscolato) o, forse, dalla florida filiera dell’accoglienza. Un partito come la Lega Nord, che ha già dimostrato di saper parlare efficacemente alla classe operaia, attirandone larghe fette, non ha necessità di perpetrare una inutile crociata contro il “comunismo”, quando in questi lidi politici comunismo proprio non ce n’è, ma c’è anzi il suo esatto opposto, ovvero una liberalizzazione totale e totalitaria a tutto svantaggio del proletariato italiano. Anzi, il rinfacciare alla sinistra di aver perso le proprie origini ideologiche, mettendo sul tavolo tutte le sue giravolte, i suoi compromessi e le sue svendite, può colpire ancora più a fondo il baraccone PD e i suoi accoliti al sapore di bandiere arcobalenate, attirando pure un elettorato che, convinto dell’estrema povertà ideale di questi lidi, potrebbe trovare nella Lega una forza che difende i lavoratori in maniera coerente, pure aprendosi a chi, a sinistra, spazio non ne trova più, senza intimidirlo con retoriche anticomuniste valide forse negli anni ’50, non certo nel 2015.
4) Cercare, se possibile, di mantenere la propria autonomia, uscendo dalla dicotomia destra-sinistra
Un rientro all’ordine berlusconiano, o un nuovo avvicinamento a Forza Italia a livello nazionale, farebbe ripiombare la Lega in un provincialismo e in una sudditanza che invece vanno superati. Una sudditanza non tanto nei confronti di un Berlusconi ormai al tappeto, o di una Forza Italia allo sbando, quanto nei confronti di una idea di “destra” che va quanto prima superata, sul modello dei Cinque Stelle, coi quali, piuttosto, un accordo sarebbe preferibile. Un collocamento tagliato perennemente con l’accetta nei canoni di una destra d’ordine italiana castra puntualmente il potenziale di un movimento, quello leghista, che invece deve puntare ancor più fortemente a raccogliere consensi in ambedue gli schieramenti. Tra i lavoratori delusi, tra gli esodati, tra i piccoli imprenditori, gli studenti, e via dicendo. La destra-perché-destra lasciamola alle Meloni, ai Gasparri e ai La Russa, un partito voglioso di rivoluzione gli schemi imposti da terzi li supera, non li subisce. Con buona pace dei suoi risultati elettorali, che non possono che migliorare.