Immigrazionismo e globalizzazione, binomio di una sinistra politicamente inerme
In un’epoca di globalizzazione imperante, in cui il fenomeno migratorio diventa spesso arma di competizione economica al ribasso e strumento di lucro, una sinistra che tace o peggio giustifica migrazioni senza sosta non serve a nulla.
Non serve a nulla la teologia migrante, col solito insopportabile approccio secondo il quale l’immigrazione non è criticabile, non serve a nulla quel trasformare il multiculturalismo in un piattume fatto di livellamento obbligato. Non serve a nulla, se non a creare danno, lo schierarsi sempre dalla parte del Re del Mondo, per usare Battiato, e dalla parte di ciò che oggi la convenienza politica ed economica del presente richiede, travestendosi dietro un umanitarismo di comodo.
Una sinistra che non capisce che l’emigrazione è un dramma sociale, un fenomeno incapace di risolvere problemi ma capacissimo di crearne degli altri è una fazione politica che smette di guardare all’emancipazione dei popoli, alla sovranità delle nazioni e al loro diritto all’esistenza in favore di un melting pot globale di culture, tradizioni ed interessi dove a trionfare è invece sempre il più forte.
Questa crisi migratoria, l’ipocrisia di una teologia cattoliberal nata sulle sue spalle come in un sottobosco di povertà ideale, la filosofia dell’uomo come nomade perennemente sradicato tratteggiano un laissez faire che solo in occidente è parte di una sinistra che ha smesso da troppo tempo di essere tale, incapace ormai di differenziarsi da qualsiasi controparte.
La narrazione imperante rimastaci è quella di un presente quasi ineluttabile, non criticabile, passibile solo di accettazione assieme all’abbattimento di tutte le residuali barriere politiche, economiche e sociali che separano ancora l’umanità dall’assenza di regole, dall’inutilità della politica, da un infinito indistinto capace solamente di accettare ciò che un’economia senza più frontiere richiede.
L’unica sinistra utile in un mondo globalizzato è quella capace di recuperare il valore delle frontiere, dell’autodeterminazione dei popoli, del loro diritto a vivere nelle loro terre, in contrasto a chi vuole un mondo livellato al ribasso, su misura della speculazione e dello sradicamento. Il resto non è sinistra e non è politica. È regresso spacciato per progresso.
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