Volere non è potere. Quando si parla di donne, maternità e lavoro, la volontà (di avere figli) molto difficilmente accompagna la possibilità (di averne davvero).

L’effetto è uno: quell’ “inverno demografico”  stagione senza primavera ormai da tempo in Italia, per molti nefasto presagio di quella che viene già definita una “catastrofe demografica”. Nel 2023 sono nati nel nostro ormai vecchissimo Paese soltanto 379 mila bebè,  praticamente quanti gli abitanti di Firenze. E l’età media al parto si è allungata a  32 anni e mezzo.

Le cause  sono molteplici:  la mancanza di welfare, di nidi e di lavori sicuri, il costo della vita… e potremmo andare avanti per righe e righe.  Ma qualche giorno fa su Repubblica un articolo dal titolo “Generazione senza figli”  allargava il focus tra le cinque milioni di coppie senza figli a quel nucleo chiamato childfree che ai bambini dice “no grazie, non vogliamo riprodurci, non vogliamo essere madri o padri, non fa parte del nostro progetto di vita”.

Ma sono casi.

Uno dei dati più significativi emersi da un recente studio condotto da UniMamma, piattaforma che si pone l’obiettivo di offrire un sostegno concreto  durante tutte le tappe della gravidanza, fondata da Alessandra Bellasio, riguarda la discrepanza tra il numero di figli desiderati in un mondo ideale e il numero di figli che si ha o si pensa di avere nella realtà attuale. I risultati del sondaggio mostrano infatti che mentre gli intervistati desiderano avere una media di 2,62 figli, nella realtà la media indagata è di soli 1,03 figli per partecipante (1,20 quella nazionale per l’anno del 2023). Questo gap evidenzia la complessità delle dinamiche sociali, economiche e personali che influenzano e modellano le decisioni familiari riguardo alla procreazione.

In pratica se ogni persona in Italia avesse in media 2,6 figli anziché 1.20, ci sarebbero circa 851.667 nascite all’anno rispetto alle 393.333 rilevate dall’Istat nel 2022. Da questo dato emerge che se le famiglie fossero poste in condizioni economico-sociali idonee, probabilmente si avrebbero più figli.

Andando più a fondo, si evidenzia che le motivazioni che non hanno portato coppie con almeno 1 figlio ad averne altri sono varie, tra cui le tre principali sono: l’inconciliabilità con il lavoro (26.19%), le difficoltà economiche (19.31%) e la mancanza di aiuto da parte della famiglia allargata (10.08%).

Da questa ricerca, inoltre, emergono molti altri dati interessanti. Il 95.08% degli intervistati, infatti, lavorava prima della gravidanza, di questi però solo il 61.3% è rientrato a lavoro. Tra le motivazioni dichiarate del mancato rientro a lavoro dopo la gravidanza sono emerse: una grande difficoltà a conciliare la vita privata con quella lavorativa (41.6%), il licenziamento (20.8%) e condizioni di lavoro modificate (14.01%). Da questi dati emerge come il problema non sia soltanto la poca flessibilità che rende difficile il conciliare la vita privata con quella lavorativa, ma anche il persistere di situazioni quali licenziamenti, mancati rinnovi di contratti a termine e mobbing.

La discrepanza tra il desiderio di una famiglia più numerosa e la realtà delle sfide quotidiane sottolinea l’importanza di politiche e interventi che favoriscano un maggiore equilibrio tra lavoro, famiglia e realizzazione personale delle donne.

 “Questa ricerca offre una prospettiva importante sulle esperienze e le aspettative delle persone riguardo alla genitorialità – commenta Alessandra Bellasio, divulgatrice scientifica e founder UniMamma – È evidente che tra gli intervistati c’è la volontà di avere famiglie più numerose, ma questo desiderio è spesso limitato da una serie di fattori che influenzano le decisioni familiari e sulle quali è necessario e urgente intervenire in modo strutturale”.

 

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