Non so come mi sia venuta in testa l’idea che il simbolismo esplosivo del viaggio del Papa a Lampedusa potesse essere un “buffo di vento” di primavera “araba” per l’Europa. Forse guardando la vignetta di Radpour (una foglia verde che spunta su una croce di legno morto) pubblicata oggi su La Stampa; forse per deformazione professionale di interesse medio orientale; forse per la coscienza che dopo ogni rivoluzione c’è sempre la contro rivoluzione.

Non so. So che il Pontefice nel suo viaggio a Lampedusa e nel suo appello a scuoterci dall’indifferenza, ha toccato il problema fondamentale della nostra epoca e della nostra società obesa. Il problema della fame.

Che non é solo, quello simbolizzato dal lancio di una corona di fiori sul mare che ha inghiottito miliaia di esseri umani che hanno preferito il pericolo della morte a quello della fame. E’ la focalizzazione su un tipo di fame che la società del benessere , inclusa quella più caritatevole, cerca senza riuscire, a soddisfare: la Fame di qualche cosa di altro. Una fame che il medico-poeta Tallis ha così ben descritto nel suo libro Hunger (Fame) da farmi pensare che Papa Francesco lo abbia letto).

E’ l’illusione di una fame che cerca soddisfazione in un piacere che si spegne soddisfandosi senza la possibilità di accumularsi: piacere di cibo, di sesso (in comune con gli animali) assieme alla trasformazione – solo umana – del piacere in desiderio senza limiti.

Desiderio che trasforma la fame naturale, indispensabile alla sopravivvenza, in fame di soldi, potere, scienza, arte, musica. Che non si soddisfa mai perché ciò che si cerca , qualunque cosa sia, sta fuori dal Creato, non è raggiungibile coi nostri sensi. Richiede un “sesto” senso che si sviluppa con l’apprendimento della gioia (cumulativa) cessando di vivere per prendere, e iniziando a dare.

Se così fosse il messaggio simbolico del viaggio del Papa a Lampedusa andrebbe molto al di là di Lampedusa, dei disperati della fame (che ci saranno sempre e che, non dimentichiamo, erano la presenza diffusa, denunciata come ozio, in Europa solo 200 anni fa), del potere e dell’insensibilità delle istituzioni.

E’ la fame che spinge l’uomo e la donna moderni a cercare un cibo che possesso, opulenza caritatevole, ideologie e religioni arte e scienza non bastano più a soddisfare.

Una fame di cui dobbiamo apprezzare il bene – attraverso tutto il male che l’accompagna- perché solo essa nella sua spiritualità può garantire, in barba a tutti gli scetticismi, relativismi e materialismi, il cammino della civiltà.

 

Si ringrazia Dariush Radpour per la gentile concessione all’utilizzo della sua illustrazione

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