Può esistere una “Silicon Valley” del cambiamento?
Che legame c’é fra il messaggio di realismo che Papa Francesco ha inviato ai gay, dall’aereo pubblico in cui rientrava a Roma dal Brasile e il messaggio aperto inviato forse dal suo aereo personale dal principe saudita miliardario Al Waleed bin Talal al suo ministro del petrolio Ali al Naimi?
Nessuno in apparenza ma molto stretto nella realtà.
Entrambi trattano del problema fondamentale della nostra epoca e civiltà: come cambiare e far cambiare.
Tre sono le condizioni – ci spiegano I Maestri – perché un bisogno di cambiamento ottenga effetti:
1. la volontà dell’individuo a cambiare;
2. i mezzi per farlo (leader, testi di istruzione);
3. un ambiente (la massa critica per provocare l’esplosione collettiva del desiderio o il bisogno di cambiamento o persino una nuova moda)
Papa Francesco dà l’esempio: dal cambiamento del colore delle scarpe papali alla borsa da “notaio” che si porta appresso.
Dall’insegnamento tratto da una lettura nuova dei Testi, a una maniera diversa di insegnare che chiede ai vescovi e ai preti di imparare. C’è quindi la volontà e ci sono i mezzi (un leader e ‘testi’)
Meno chiaro il fattore ambiente, la creazione cioè di nuove “Silicon Valley” morali e spirituali capaci di produrre in umiltà e scienza “masse critiche” indispensabili per pubblicizzare, senza volgarizzare, il cambiamento.
A questo scopo media e raduni oceanici non bastano. Sono come onde che si formano e sformano con la stessa rapidità.
Se c’é tuttavia un uomo, nel mezzo del deserto materiale e egoistico in cui viviamo, capace di guidare uno sforzo del genere, questi é certo Papa Francesco.
Il principe Al Waleed, ben noto per le sue ricchezze e le sue ambizioni in patria, scrive al ministro del petrolio:
“Dobbiamo diversificare una economia basata per il 92% sul petrolio.
Diversamente non riusciremo ad evitare una crisi non solo economica…” che la produzione e l’esportazione del gas e del petrolio statunitense e canadese stanno già provocando sul mercato energetico (dunque politico e sociale) dell’Arabia Saudita e di fatto di tutti i paesi arabi.
Il guaio è che:
negli arabi, e non solo in loro per la verità, la volontà individuale di cambiamento è debole, soffocata da una tradizione familiare e religiosa autoritaria;
i mezzi istituzionali sono inesistenti;
la capacità di creare “masse critiche” delegata alla strada (ambiente).
Tutti noi (occidente e oriente) viviamo nel mondo di Al Waleed, materialistico ed egoistico, e pur capendo la necessità di produrre un cambiamento (esattamente come lui verso la realtà del suo paese) non abbiamo la volontà sufficiente, i mezzi e l’ambiente.
E anche Papa Francesco, pur avendo volontà e mezzi, vive nello stesso nostro mondo materiale ed egoistico.
Dobbiamo allora alzare le mani e arrenderci? Dobbiamo rinunciare alla possibilità di cambiare e far cambiare?