Dal Medio Oriente al Medio Occidente
In una dura reazione del premier inglese alle ambizioni recentemente ventilate dai nazionalisti scozzesi di staccarsi dal Regno Unito (UK), é stato fatto loro ossevare che in tale eventualità lo stato scozzese sarebbe disastrosamente uscito dall’euro e dal mercato europeo con tutte le conseguenze che ne sarebbero conseguite per una entità “sovrana” forte solo delle sue ricchezze energetiche. Le velleità d’indipenza scozzese hanno naturalmente radici antiche nella storia, più fortunate ma non molto diverse da quelle irlandesi. Le quali, nelle contee del nord cattolico, hanno condotto una guerriglia contro il potere di Londra dal 1969, con centinaia di morti e che si sono appena assopite.
L’antipatia scozzese per gli inglesi non é molto differente da quella dei corsi per i francesi a causa di differenze linguistiche, religiose, caratteriali di clan, etc. Problemi che nel caso inglese e in quello francese si sono assopiti grazie allo spazio politico, amministrativo, militare ed economico che l’impero coloniale francese e inglese offriva a questi riottosi isolani.
L’aspetto curioso di questi più o meno tesi rapporti culturali e di potere fra capitale e periferia, é che essi sono consacrati nell’immaginario popolare (ora mediatico) da concezioni e abitudini mentali la cui influenza va al di là del conflitto stesso.
A qualcosa di simile dobbiamo sforzarci a pensare quando ci occupiamo del Medio Oriente. Una regione che con tutti i suoi problemi strategici energetici e geografici fa da “ponte” fra tre continenti: Europa, Africa, Asia.
Un modo per schiarirci le idee quando ne parliamo é chiederci: quando é nato come concetto geografico e politico il Medio Oriente? Prima che Napoleone lanciasse la sua famosa spedizione in Egitto alla fine del Settecento, il Medio Oriente, come concetto, non esisteva. Esisteva il Levante da sempre linguisticamente e religiosamente legato al sorgere (falso) del sole e allo sviluppo delle tre religioni monoteistiche: ebraismo, cristianità e islam. Il Levante perde la sua importanza con il declino della Francia post napoleonica, con l’emergere dell’Inghilterra come potenza mondiale economica e coloniale, e con l’apertura del Canale di Suez. Il Levante (salve che per De Gaulle nelle sue memorie) diventa Medio Oriente in quanto regione vista dagli inglesi a metà strada fra Londra e Dehli , fra l’Inghilterra e l’India.
Con la fine dell’epoca coloniale, la frantumazione dell’impero ottomano, la nascita di stati “nazionali” arabi (di cui vediamo oggi l’incapacità del pan arabismo assieme al potere politico islamico di creare uno stato unificato), con l’imporsi del tribalismo (fenomeno antico, oggi tragicamente evidente persino in Siria, patria dell’identità nazionale araba), il concetto di Medio Oriente, con la sua vecchia sigla britannica M.O, si trasmorma nel contenuto senza cambiare la sigla. M.O non significa più Oriente ma Occidente. A svilupparlo come concetto strategico, economico e politico nel XXI secolo non più l’Europa anglicizzante ma é la Cina, attraverso il suo straordinario progetto di sviluppo ferroviario e navale fra Pechino e Londra in via di rapida realizzazione: la nuova Via della Seta.
Progetto megalittico che ha però lo stesso elemento di instabilità e problematicità del vecchio Medio Oriente e Levante: esattamente come quella Palestina che i Romani chiamavano anche Via Maris – in quanto più facile strada lungo la sponda mediterranea congiungente l’Africa con l’Asia. Il suo controllo ha alimentato le continue guerre fra imperi locali (egizio, assiro-babilonese-greco) e imperi esterni (romano, europeo) non diversamento da quanto sta ora succedendo, nel XXI secolo, fra America, Russia, Iran e potenzialmente Cina.
Oggi il pezzo più corto e di rapida realizzazione del progetto cinese, nato con la Via della Seta, é la ferrovia Eilat sul Mar Rosso e Ashdot sul Mediterraneo, due porti controllati da Israele e che Gerusalemme ama descrivere come il nuovo “canale terrestre di Suez”. Questo non solo non semplifica una situazione gia imbrogliatissima ma aiuta a comprendere l’internazionalizzazione del conflitto israelo-palestinese e le difficoltà coscienti o incoscienti della diplomazia e delle armi di trovarvi o imporvi delle soluzioni.