L’orizzonte marittimo italiano si appresta a navigare verso un nuovo corso, guidato dalla bussola di una riforma portuale annunciata per la fine del 2024. In un clima di attesa e progettualità, il dibattito sulla gestione e l’efficienza dei porti si infiamma, infatti in questi giorni Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha anticipato l’idea di un possibile “commissariamento” delle autorità portuali. Questa mossa avrebbe l’obiettivo di fungere da transizione regolatoria fino all’entrata in vigore della nuova riforma, una sorta di timone temporaneo per mantenere la rotta verso l’innovazione.

Il Ministro Salvini enfatizza la necessità di un approccio che coniughi l’autonomia operativa con un’armonia gestionale, un “disegno unico” che promuova un sistema portuale sinergico e omogeneo, anticipando la transizione con un’azione diretta e assertiva. La proposta di un commissariamento solleva un velo di curiosità e, per alcuni, di preoccupazione: si tratta di una svolta decisiva o di una manovra temporanea?

Lo scenario attuale si confronta con un passato regolamentato da un Codice che ha radici nel 1942, epoca dalla quale il sistema portuale ha subito evoluzioni significative, culminate con la riforma del 2016 che ha introdotto le Autorità di Sistema Portuale (per approfondimenti clicca qui). Queste innovazioni hanno portato ad una maggiore efficienza gestionale e ad una partecipazione più aperta e competitiva nel settore.

Come ogni cambiamento, anche quello introdotto dalla riforma ha generato nuove sfide e la necessità di un continuo adattamento.

Fino alla riforma del 2016, il Codice della Navigazione delineava un quadro per la gestione dei porti che ascriveva la direzione degli scali marittimi a regime generale all’Autorità marittima, organismo periferico dello Stato deputato alla gestione, amministrazione, sorveglianza e polizia portuale.

Nello specifico, il Codice del 1942 categorizzava gli scali marittimi in tre classi (primo, secondo e terzo ordine), basate sulla loro rilevanza strategica e commerciale. I porti di primo ordine ricadevano sotto la gestione diretta dell’Autorità marittima, che ne deteneva la responsabilità per l’amministrazione, la vigilanza, la polizia portuale e l’assegnazione delle aree portuali a privati. Gli scali di secondo e terzo ordine, al contrario, erano sotto la governance delle Capitanerie di porto, emanazioni periferiche dell’Autorità marittima, incaricate della sorveglianza e della polizia portuale, mentre la gestione delle attività commerciali era delegata a enti privati tramite concessioni.

La riforma del 2016 ha apportato significative innovazioni nella gestione portuale, con lo scopo di razionalizzare e semplificare il sistema, promuovendo l’ingresso di nuovi attori e modalità gestionali.

Si è arrivati, pertanto, alla creazione delle Autorità di sistema portuale, enti con autonomia organizzativa e finanziaria, incaricate dello sviluppo portuale. In aggiunta, la riforma ha permesso ai privati di partecipare alla gestione portuale mediante la concessione di servizi pubblici locali.

Parallelamente ai porti amministrati in regime generale, esistevano porti sotto regime speciale, gestiti da Enti portuali costituiti da leggi speciali. Questi Enti, preposti alla gestione e allo sviluppo dei porti di maggiore importanza, avevano funzioni amministrative, promozionali e organizzative, e sovrintendevano alle attività svolte dai privati nel porto. In alcuni casi, gli Enti portuali si occupavano direttamente delle operazioni di carico/scarico delle merci, assumendo un ruolo di enti pubblici economici.

Con la riforma del 2016, gli Enti portuali sono stati aboliti e sostituiti dalle Autorità di sistema portuale, che hanno assunto funzioni simili ma con maggiore autonomia e flessibilità.

Fino alla riforma, in tutti i porti, sia quelli a regime generale che speciale, vigeva la “riserva delle operazioni portuali” a vantaggio delle maestranze delle compagnie portuali. Tale sistema obbligava le navi che necessitavano di carico e scarico merci a ricorrere a un’impresa portuale locale per tali operazioni.

Tuttavia, dato che le imprese portuali non impiegavano direttamente addetti alle operazioni, erano costrette a utilizzare le maestranze delle compagnie portuali, costituite da lavoratori specializzati. Questo sistema di riserva è stato oggetto di critiche, considerato eccessivamente protezionistico e ostacolante l’entrata di nuovi operatori nel settore.

Con la riforma del 2016, la riserva delle operazioni portuali è stata eliminata, permettendo alle imprese portuali di gestire direttamente carico e scarico merci. La riforma ha però incluso misure di tutela per i lavoratori portuali, assicurando una transizione equa verso il nuovo sistema.

L’evoluzione del container, il progresso tecnologico e l’automazione hanno reso meno indispensabili le maestranze portuali nelle operazioni di carico/scarico, ma per garantire loro un reddito adeguato, è stato necessario incrementare le tariffe portuali.

Questo sistema, però, ha introdotto inefficienze e ha ridotto la competitività dei porti italiani sullo scenario internazionale, spesso obbligando le navi a impiegare più lavoratori del necessario, con un conseguente aumento dei costi e rallentamento delle operazioni.

La riforma del 2016 ha quindi abolito la riserva operativa e ha introdotto la concorrenza tra le imprese portuali, con l’intento di potenziare l’efficienza e la competitività del sistema portuale italiano. In questo nuovo quadro, le maestranze portuali continuano a svolgere un ruolo importante, ma in concorrenza con altre figure professionali.

La situazione della riserva delle operazioni portuali in Italia ha dato luogo a controversie legali e ha diminuito la competitività dei porti italiani. Una svolta è stata marcata dalla sentenza Porto di Genova della Corte di Giustizia della Comunità europea, che ha sancito la violazione delle norme sulla libera concorrenza da parte della riserva portuale, avviando così un processo di liberalizzazione culminato con la riforma del 2016.

La Legge di riforma portuale del 1994 ha introdotto cambiamenti sostanziali, istituendo le Autorità Portuali nei porti principali e separando le funzioni pubbliche di gestione dai servizi portuali privati, promuovendo così la concorrenza e l’efficienza.

Con la riforma del 2016, dunque, queste Autorità sono state trasformate in Autorità di Sistema Portuale (AdSP), con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare la governance portuale, migliorando efficienza, competitività e sostenibilità ambientale. Le nuove AdSP hanno assunto nuove funzioni come la promozione, la programmazione, e la gestione delle infrastrutture portuali e dei servizi connessi.

Dunque, il D.lgs. n. 169/2016 ha riformato la Legge n. 84/1994 e ha dato vita a un nuovo assetto istituzionale per i porti italiani, mirando a un sistema portuale più dinamico e integrato nel contesto dei trasporti marittimi internazionali. Nonostante i cambiamenti, la disciplina dei servizi portuali è rimasta sostanzialmente inalterata.

Le dichiarazioni del ministro Salvini aprono quindi a riflessioni sul futuro della gestione portuale italiana, sottolineando la dinamica natura dei trasporti marittimi e la necessità di adattare costantemente le strutture regolatorie per mantenere il sistema portuale nazionale all’altezza delle sfide globali.

La riforma annunciata per il 2024 è attesa con interesse e cautela, poiché potrebbe rappresentare un’ulteriore pietra miliare nella storia marittima del paese, un passaggio che porterà probabilmente nuove modalità di gestione e competitività nel Mediterraneo.

Nel frattempo, l’ipotesi di un commissariamento temporaneo getta luce su un periodo di transizione critico, in cui ogni mossa sarà determinante per definire il futuro dei porti italiani.

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