La pubblicazione delle motivazioni con cui la Sezione centrale di controllo di legittimità della Corte dei Conti ha ricusato il visto sulla delibera CIPESS dedicata al riavvio del progetto del Ponte sullo Stretto offre un quadro articolato, nel quale si intrecciano rilievi di natura ambientale, profili di conformità alle procedure europee in materia di contratti pubblici e questioni attinenti alla regolazione tariffaria.

La decisione assunta a fine ottobre rappresenta, per estensione e profondità di analisi, uno snodo significativo nella lunga vicenda amministrativa dell’opera, perché individua tre nuclei di criticità che, secondo i magistrati contabili, minano la legittimità dell’atto finale del procedimento di ripartenza del progetto.

L’impostazione adottata dalla Corte si colloca all’interno del perimetro costituzionale del controllo preventivo di legittimità, che l’art. 100 Cost. assegna all’organo quale funzione di garanzia nell’interesse generale.

La Sezione ricorda come, quando il controllo investa atti relativi a investimenti infrastrutturali di rilievo, la verifica di conformità non abbia una finalità meramente formale, ma persegua l’obiettivo di prevenire criticità procedurali suscettibili di compromettere la realizzazione dell’opera una volta avviata, specie alla luce dell’ingente impiego di risorse pubbliche. È in questa cornice che vengono inquadrati i tre profili ritenuti decisivi: la violazione della direttiva Habitat con riferimento alla procedura IROPI; l’inosservanza dell’art. 72 della direttiva appalti per effetto delle modifiche sostanziali apportate al programma negoziale originario; la mancata acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti sul piano tariffario alla base del PEF.

Il primo asse motivazionale riguarda la procedura speciale prevista dall’art. 6, par. 4, della direttiva 92/43/CE, che consente, in circostanze eccezionali, di autorizzare un’opera nonostante una valutazione di incidenza negativa, purché non esistano alternative e l’intervento sia giustificato da motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Il superamento della valutazione negativa resa dalla Commissione tecnica VIA, secondo la Corte, si è fondato su una relazione IROPI che non presenta i caratteri di completezza istruttoria e di imputazione amministrativa richiesti dalla disciplina eurounitaria e dalle linee guida nazionali sulla VIncA. L’atto non reca sottoscrizioni, non indica chiaramente le amministrazioni coinvolte, né consente di comprendere quale struttura abbia effettivamente condotto la comparazione delle alternative, che costituisce il fulcro logico della procedura derogatoria.

Il Consiglio dei ministri, nella sua collegialità politica, si è assunto un ruolo che avrebbe dovuto essere preceduto da una istruttoria tecnica formalizzata in capo alle amministrazioni competenti in materia ambientale, prima tra tutte il MASE. L’assenza di tale passaggio e la natura meramente informativa della comunicazione alla Commissione europea inducono la Corte a ritenere che la deroga ambientale non rispetti i presupposti sostanziali e procedurali fissati dalla direttiva Habitat, con conseguente illegittimità della delibera CIPESS che su quella valutazione si fonda.

Il secondo pilastro della decisione attiene alla disciplina delle modifiche contrattuali sopravvenute, regolata dall’art. 72 della direttiva 2014/24/UE. La Corte valorizza la portata delle trasformazioni economiche e organizzative intervenute nel rapporto concessorio con la società Stretto di Messina e nel complesso dei contratti connessi (contraente generale, project management consultant, monitore ambientale). Il passaggio da un modello originariamente improntato al project financing – nel quale il rischio operativo era allocato in misura significativa sul concessionario – a un assetto interamente poggiato su risorse pubbliche già stanziate rappresenta, secondo i magistrati, una trasformazione così profonda da alterare l’equilibrio economico-finanziario originario. A ciò si aggiungono le modifiche alle clausole di indicizzazione, al regime del prefinanziamento e alla struttura del corrispettivo, introdotte anche in via legislativa. In questo scenario, il semplice “aggiornamento” del valore economico evocato dal MIT non sarebbe sufficiente a qualificare l’operazione come conforme ai limiti di variabilità fisiologica consentiti dall’art. 72; al contrario, la Corte ritiene verificata la fattispecie della “modifica sostanziale”, tale da richiedere una nuova procedura competitiva perché idonea, se prevista in origine, ad attirare operatori diversi o a determinare offerte strutturalmente differenti.

Il terzo elemento censurato riguarda la mancata richiesta del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti in ordine alle componenti tariffarie recepite nel PEF. La delibera CIPESS assume e consolida uno schema di pedaggio che costituisce presupposto essenziale dell’equilibrio economico-finanziario dell’intervento, ma il DIPE ha ritenuto che l’opera non rientrasse nell’ambito applicativo dell’art. 43 del d.l. 201/2011, sostenendo che il tratto sarebbe assimilabile a una strada extraurbana di categoria B.

La Corte adotta una lettura sistematica delle norme sulla regolazione del settore, richiamando l’art. 37 dello stesso decreto, che attribuisce all’Autorità una competenza generale sulla definizione dei criteri per tariffe, canoni e pedaggi in relazione alle infrastrutture di trasporto. In questa visione, la natura tariffata dell’infrastruttura rende necessario il coinvolgimento dell’ART, indipendentemente dalla formale classificazione stradale, tanto più che quest’ultima non risulta cristallizzata da un atto amministrativo e ha conosciuto nel tempo interpretazioni non convergenti. L’omissione del parere priva il procedimento di un presidio tecnico indipendente pensato dal legislatore proprio per garantire equilibrio e trasparenza nella definizione dei costi a carico dell’utenza.

Accanto ai tre profili principali, la Corte richiama ulteriori criticità che, pur non essendo dirimenti ai fini della ricusazione del visto, rappresentano elementi di metodo che l’amministrazione dovrà affrontare nel prosieguo della procedura: il mancato coinvolgimento del NARS nella valutazione del PEF; l’esigenza di monitorare costantemente il possesso dei requisiti in capo ai soggetti affidatari, considerato il lungo lasso temporale trascorso; la tendenza a integrare la motivazione solo in fase di controdeduzioni, invece che nella delibera; il permanere di un parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici risalente al 1997, non aggiornato nonostante l’evoluzione tecnica e progettuale dell’opera.

Nel complesso, le motivazioni formulate dalla Corte dei Conti delineano un quadro nel quale assumono rilievo tanto le verifiche connesse alla conformità ambientale quanto quelle relative alla gestione dei rapporti contrattuali e alla regolazione tariffaria. L’analisi svolta dai magistrati contabili si concentra sulla coerenza dell’iter seguito rispetto alle disposizioni nazionali ed eurounitarie applicabili, ponendo in evidenza i profili che, a loro avviso, necessitano di ulteriori chiarimenti o integrazioni istruttorie. L’eventuale prosecuzione del procedimento dovrà pertanto tenere conto delle osservazioni formulate, così da assicurare un assetto pienamente allineato alle prescrizioni normative e regolatorie che governano interventi infrastrutturali di analoga rilevanza.

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