Fanno bene i cittadini di Ventimiglia a protestare. Ad urlare il proprio dissenso contro l’apertura di un altro, l’ennesimo centro di accoglienza per migrati. Bisogna scendere in piazza e farsi sentire. Ad ogni costo. La città ha già dato. Tanto, molto. È arrivato il momento di dire basta. Ad arrendersi non sono solo i cittadini. Lí, in quella terra di confine, solo un mese fa ha detto basta anche la Caritas. image

Sono tanti, troppi. La città è assediata (ormai da anni) da migliaia di immigrati. Ventimiglia è come un imbuto. Ostruito. Tutti gli immigrati sbarcati in Italia (accompagnati per mano dai “santi uomini e donne” delle Ong) arrivano a Ventimiglia aiutati dalla cartina geografica e dal passaparola. Istruiti prima ancora di imbarcarsi. Dormono in centinaia sopra a dei cartoni e a delle coperte sporche e lacerate in attesa di passare il confine e raggiungere la terra promessa: la Francia. Un Paese “blindato”. Chi riesce a passare il confine viene quasi sempre beccato e rispedito al mittente. Come fosse un pacco postale. Chi non è in “regola” (quasi tutti) viene caricato su un pullman e spedito al centro di accoglienza di Taranto. Ma lì restano solo per poco tempo. Appena possono ripartono. Destinazione Ventimiglia. image

E così finiscono ancora una volta sotto i ponti del fiume Roja. Ancora una volta determinati a passare quel maledetto confine. Ci provano per una, due, tre, quattro volte. All’infinito. Chiedono aiuto a chiunque. Pure ai giornalisti. Inutili gli sgomberi messi in atto dall’amministrazione comunale. Non appena le ruspe si allontanano e la polvere si deposita per terra rispuntano i giacigli di fortuna. Gli accampamenti improvvisati. La loro vita si consuma sull’alveo di quel fiume. Divenuto, ormai, la toilette degli immigrati. Chi “vive” in quel quartiere ormai si è rassegnato. Molti hanno deciso di scappare, di vendere casa e trasferirsi ad altri, invece, non gli resta che sopportare. Ancora per molto. Ahimè…

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