Vucumprá, una piaga tutta italiana
“Prego prego…” “Okkiali okkiali…” “Borze borze…” Un vociare che risuona su tutte le spiagge d’Italia. Da nord a sud. Non c’è un millimetro dei 7500 chilometri di costa della nostra Penisola che non sia battuto a tappeto dai vucumpra’. Siamo invasi!
Ganesi, senegalesi, pakistani, indiani. Ora anche bulgari e rumeni. I peggiori. Ti importunano con frequenza costante. Com’è possibile che niente e nessuno riesca a fermarli? Forse perché neanche ci provano. Altrimenti non si spiegherebbe la loro instancabile e continua presenza sulle spiagge italiane da giugno a settembre. Il problema non è tanto il fastidioso e ripetitivo invito a “vucumpra’?”, che già ti sfianca mentre sei rilassato sotto l’ombrellone, quanto la libertà di poter vendere qualsiasi cosa. Chiaramente a nero. Alla faccia dei nostri esercenti costretti a subire, ormai da anni, questa concorrenza spietata. A loro si che lo Stato chiede. Eccome se chiede. E pretende. Più del dovuto. Senza dare nulla in cambio. D’altronde, viviamo in Italia.
Ad alimentare questo commercio illegale siamo proprio noi. Qualche sindaco coraggioso ha provato a fermarli. Ma senza successo. L’offerta è tanta, come la domanda del resto. Che cresce, sempre di più. I prodotti venduti in riva al mare sono tanti. Dai teli mare agli occhiali, dalle ciambelle ai costumi. Sotto il solleone si trova davvero di tutto. Sulle spalle hanno la qualunque, carichi come delle bestie da soma. Il lavoro è duro certo , ma redditizio. Molto. Io stesso, fingendomi un vucumpra’ sulle spiagge di Tropea, in Calabria, in un’ora e mezzo ho guadagnato 76 euro vendendo teli mare. Se avessi lavorato per tutto il giorno (proprio come loro) avrei portato a casa circa 400 euro. Esentasse, si intende. Insomma, un bel gruzzolo a fine stagione. Disoccupati di tutta Italia, cosa state aspettando? Cimentatevi in questa nuova attività. Basta davvero poco.