“Se ho dieci dipendenti e ne licenzio cinque, pagherò la metà dell’Irap rispetto a chi ha dieci dipendenti e non ne licenzia nessuno (ovviamente io faccio parte di questo secondo gruppo). Vi pare normale? Anziché aiutare le aziende che proteggono i posti di lavoro e che evitano di creare disoccupazione lo Stato che fa? Le tassa”. Paolo Federici, imprenditore nel settore della logistica e dei trasporti, attivissimo col suo blog nell’esporre le grane che attanagliano le aziende, mi esterna così la sua indignazione.

Ma non è il solo. Perché se chiedi a un piccolo imprenditore cosa pensa dell’Irap, ti risponde cambiando l’acronimo alla tassa: “È un’imposta rapina”. Il dibattito sull’odiato balzello va avanti da circa un decennio. Da Berlusconi a Letta passando per Monti, tutti parlano sempre di una sua riduzione. Nel suo Jobs Act il segretario del Pd, Matteo Renzi, propone un abbassamento dell’Irap e contemporaneamente un aumento del prelievo fiscale sulle rendite finanziarie.

Ma è così impopolare o impossibile proporne una totale abolizione?

A quanto pare sì, perché gli esperti di economia spiegherebbero che è un’imposta che ha sostituito sette tributi e ha razionalizzato il sistema fiscale e che bisognerebbe trovare coperture economiche alternative etc… L’inventore dell’Irap, Vincenzo Visco, ha spiegato più volte le ragioni che hanno portato all’introduzione della tassa (se volete potete leggerle qui).  Nell’ultima rilevazione della Cgia di Mestre è emerso che l’Irap è il balzello che garantisce alle Regioni il gettito più importante: nel 2012 le imprese hanno versato oltre 33 miliardi di euro.

Nonostante tutto ciò, è difficile trovare un imprenditore che non chieda l’abolizione dell’Imposta Rapina. Perché? Di seguito i principali motivi:

  • L’impresa è costretta a pagarla anche se registra una perdita.
  • La tassa ha una base imponibile molto più ampia dei profitti.
  • Essendo regressiva, penalizza le imprese di minori dimensioni.
  • L’Irap colpisce gli utili, il costo del personale, le retribuzioni degli amministratori, gli interessi passivi che non sono deducibili

Insomma, c’è da indignarsi o no?

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