“Pagherò il pizzo. Devo pur vivere…”
Premessa: pubblico lo sfogo di un ragazzo siciliano che vuole fare impresa a Palermo. Non aggiungo alcun commento perché penso che giudicare senza vivere una determinata situazione sia molto più facile che viverla in prima persona. Tuttavia, penso possa essere una testimonianza utile quantomeno per far capire che non esiste solo il bianco e il nero e che spesso è semplice lasciarsi andare a distinzioni manichee, a contrapposizioni tra buoni e cattivi, tra onesti e disonesti senza provare a comprendere che nel mezzo di tutto ciò spesso c’è la realtà, la vita vissuta, il contingente, l’arrendevolezza, la disperazione, la paura.
“Mi hanno rubato sette motorini e, ogni volta che andavo in caserma a denunciare, l’agente mi guardava tra lo sconsolato e il menefreghista e mi diceva: “Se ne faccia una ragione”. Lo Stato in Sicilia non c’è. Ho rilevato un locale nel centro storico di Palermo e già so a chi dovrò pagare il pizzo e quanto sarà l’importo. Mille euro al mese. So che è triste, ma alla fine credo che li pagherò.
Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. Conosco questa frase e posso essere pure d’accordo. Ma dopo che investo i miei unici soldi per intraprendere un’attività, non posso rischiare di rimanere senza niente in mano. Posso denunciare, è vero, ma dopo che succede? Mi bruceranno il locale o mi ruberanno l’incasso della giornata o peggio ancora mi daranno una bella lezione. E cosa avrò risolto?
È lo stesso discorso dei motorini. Se vai a denunciare, ti danno una bella pacca sulla spalla e ti dicono: se lo dimentichi. Non fanno neanche la finta di interessarsi al tuo caso. Se invece chiami l’amico dell’amico che conosce il capo della zona invece lo ritrovi e te lo restituiscono, a volte pagando, altre volte no.
L’altra sera sono andato a ballare, ho posteggiato l’auto e mi si è presentato davanti un uomo alto due metri e largo uguale. Mi ha detto in siciliano stretto: “M’addare tri euro”. Tre euro? Io ho solo un euro, gli ho detto. Poi alla fine glieli ho dati, per stare tranquillo. Al ritorno tre macchine accanto alla mia avevano tutte il finestrino rotto.
Cosa voglio dire? Che se lo Stato fosse presente porrebbe un argine anche a questo piccolo ma grande fenomeno che poi altro non è che le fondamenta su cui si regge la mafia: ricatto e paura. E io per tre euro devo rischiare di farmi distruggere l’auto? Ripeto, è triste, ma è così. E se per lavorare nella mia città devo pagare un prezzo, lo faccio. Ma almeno posso dormire tranquillo. Spero”.