Tutte le vignette vanno bene a patto che non contraddicano il pensiero di Travaglio. E del giornale che dirige. Tutte le battaglie contro la censura sono sacrosante, a patto che siano rivolte agli altri e non a se stessi. Anzi, quando è l’anti-censore a fare il censore allora la censura diventa una semplice scelta legittima e insindacabile. Nel giugno 2009, il direttore del Fatto quotidiano scatenò la sua furia contro la Bignardi rea di aver tagliato un’intervista a Vauro. Il commento fu tranchant: “Vergogniamoci per lei”.

Adesso però di difendere il vignettista non è aria. La satira contro Toninelli non s’ha da fare. Perché è falsa, perché è sbagliata, perché va contro il grillino. Ci spiace tanto per Travaglio, evidentemente se è arrivato a censurare una vignetta per difendere l’indifendibile ministro dei Trasporti non starà passando giornate serene.

va salEppure Travaglio ne ha sopportate di vignette caustiche in passato, persino quelle che attaccavano direttamente la sua persona. Qualche esempio? Nel dicembre 2013 Vauro affilò la matita e raffigurò se stesso con le orecchie d’asino mentre affermava: “Però Grillo ha detto proprio ‘dobbiamo vincere e vinceremo’ come Mussolini”. Risposta di Travaglio: “Scherzava dai…”. Vauro ribatteva: “Ok scherzava. Marco ora mi posso togliere il cappello da ciucco?”. Una vignetta pubblicata sul Fatto e passata indenne da ogni forma di censura.

Per tornare ai tempi recenti, poi, nel settembre 2018, lo stesso giorno in cui Travaglio vergava un editoriale in cui difendeva la “manovra del popolo” grillina, Vauro la criticava e attaccava il reddito di cittadinanza raffigurando un ragazzino che chiede al padre: “Papà, siamo ancora poveri?”. La risposta: “Sì, ma adesso ci pagano per esserlo”. Anche in quell’occasione nessuna censura. Viva la libertà di espressione anche se va contro la linea editoriale del giornale su cui viene pubblicata la vignetta.

Invece ieri evidentemente qualcosa si è rotto. O la pazienza ha superato il limite. Vai a saperlo. Di sicuro sono lontani i tempi in cui Travaglio si stracciava le vesti per difendere la satira.

Quando sul Fatto venne pubblicata una vignetta su Jessica Tinari, morta nella tragedia di Rigopiano, il direttore ribatteva così: “Purtroppo nel Pd, come già per la vignetta di Mannelli sulla Boschi, ci sono troppi dirigenti che non capiscono le battute. Sarà nostra cura corredare le vignette con una nota a margine per spiegargliele da ora in poi”.

Nella vignetta di Natangelo si vedeva Renzi che piangeva e diceva: “Abbiamo perso un voto. Forse gli altri 28 erano del movimento 5 stelle, ma chi può dirlo”.

Ancora più sintomatico è quello che Travaglio ha scritto nell’agosto 2008 per difendere la satira contro Napolitano: “‘Mi domando quale democrazia sia quella dove non si può né prendere in giro, né criticare i potenti. Negli altri Paesi accade l’inverso: le critiche e l’attenzione aumentano in relazione all’importanza del leader politico. Ma forse noi siamo disabituati anche alla satira”. E forse anche Travaglio.

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