Moscovici, deficit di coerenza
Il concetto di deficit per Pierre Moscovici è molto “relatif”, per dirlo alla francese. Relativo. Dipende dal momento, dal ruolo che si ricopre e soprattutto dal paese nel mirino. E sul tema il commissario intransigente di capriole ne fatte parecchie. Quando era ministro dell’Economia con il governo Ayrault parlava quasi come un Di Maio moderato. “Le riforme strutturali sono un dovere. E con queste la Francia diventerà più forte, tuttavia una forte riduzione del deficit non ci porta avanti”, dichiarava il 7 maggio 2013 aggiungendo poi che l’abbattimento del deficit deve tener conto della situazione del Paese e il ritmo del consolidamento del bilancio deve rendere possibile la crescita. E quanto era il rapporto deficit/Pil negli anni in cui è stato ministro? 4,8% nel 2012; 4,1% nel 2013, 3,9% nel 2014. E la tanto osannata riduzione del debito pubblico come andava negli anni in cui era ministro Moscovici? 89,6% nel 2012; 92,4% nel 2013; 95% nel 2014. Insomma, saliva vertiginosamente.
Nello stesso anno, mentre Bruxelles bacchettava la Francia per il deficit oltre il 3% lui attaccava la “visione generale nella Commissione europea neoliberista e ortodossa” e rivendicava: “In Francia abbiamo elezioni, abbiamo scelte politiche e stiamo difendendo la nostra strada”. A quel tempo la Francia veniva prima delle regole dell’Unione Europea, evidentemente.
Ma una volta entrato nei palazzi di Bruxelles la musica cambia. È un cambio soft per il suo paese di origine, mentre per le altri nazioni diventa un cambio hard, con Moscovici che si erge a castigatore di chiunque si azzardi a non rispettare le regole sul deficit. Gli attacchi all’Italia sono ormai noti e frequenti, ma cosa diceva Moscovici sulla Francia?
Il 21 maggio 2017 affermava: “La credibilità della Francia di fronte ai partner europei dipende da piccoli sforzi per contenere il deficit sotto il 3% del Pil”. Il 4 ottobre dello stesso anno invitava la Francia a proseguire gli sforzi di riduzione del deficit, anche quando, come promesso dal presidente Emmanuel Macron, sarà passata sotto la soglia del 3%. Tuttavia, il commissario Ue agli Affari economici e monetari sui diceva “favorevole a una interpretazione intelligente delle regole” perché “bisogna dar prova di intelligenza e flessibilita”.
Il 13 settembre 2018 provava a sembrare più rigoroso: “È importante che la Francia resti sotto al 3% (…) È molto importante continuare a ridurre il deficit strutturale, anche solo per andare avanti nel taglio del debito. La traiettoria della Francia deve essere conforme agli impegni comuni”. Martedì scorso, il governo di Parigi ha ritoccato al rialzo gli obiettivi per il deficit del 2019, in particolare, a causa di una crescita economica più fiacca del previsto, impegnandosi tuttavia a restare sotto alla soglia del 3%, in linea con i vincoli Ue.
Quando giorni fa Macron ha annunciato misure sociali che porteranno il disavanzo al 3,4% nel 2019, il francese aveva timidamente alzato il ditino auspicando che il superamento della soglia del 3% sia “il più limitato possibile”.
Insomma, lui dice che su Francia e Italia “non ci sono due pesi e due misure”, ma di sicuro c’è un Moscovici con un deficit di coerenza.