“Io rispetto tantissimo le bandiere della pace ma, se devo scegliere, alla finestra metto il Tricolore“. Se questa frase Salvini l’avesse pronunciata un decennio fa, probabilmente dalla platea degli astanti sarebbero piovute una bordata di fischi e una richiesta di Tso. Adesso, invece, il Capitano può permettersi di pronunciarla ricevendo ovazioni e applausi. Dalla secessione al patriottismo il passo è lungo ma la velocità d’esecuzione del cambiamento è stata rapidissima.

L’upgrade della Lega 2.0 non conosce più la parola Nord, i ladroni non stanno più a Roma, ma sono forestieri, e il Va’ pensiero ha lasciato spazio al sottofondo musicale dell’Inno di Mameli. Strano eh? Eppure, quella sulla bandiera non è altro che l’ennesimo tassello di una linea politica più matura, direbbe qualcuno, o più opportunista, direbbe qualcun altro. In realtà è semplicemente il nuovo corso salviniano. Ieri i terroni e il Meridione erano nel mirino del Carroccio, ieri il Tricolore era da bruciare, un vessillo da rimuovere, simbolo del malaffare e di un paese diviso, immobile e spendaccione. Si preferiva veder sventolare il gonfalone della Serenissima, si protestava per l’esposizione del Tricolore nelle scuole, si festeggiava solo il federalismo e non si applaudiva alla Camera quando qualcuno citava il simbolo dell’unità nazionale.

FOTOGRAMMA_20190401173347_28927578“Lo metta al cesso, signora”, invitava Umberto Bossi nel 2011. Che considerava quelli che mettono fuori i tricolori dei “somari che mangiano e bevono”. “Non è colpa della gente onesta e laboriosa della Padania se, in tutto il mondo, ormai il Tricolore è simbolo di spaghetti, ma soprattutto di mafia”, gli faceva eco Mario Borghezio. Nello stesso periodo, Salvini era tranchant: “Il tricolore non mi rappresenta, non la sento come la mia bandiera. A casa mia ho solo la bandiera della Lombardia e quella di Milano. Il tricolore è solo la nazionale di calcio, per cui non tifo. Mi rappresenta quando diventeremo un paese normale con meno sprechi e ruberie al Sud”. Erano i tempi della narrazione antistatalista e anticentralista. Tempi andati e dimenticati. Ora ci sono da difendere i confini nazionali, da proteggere il Made in Italy, da togliere dal simbolo la parola Nord e da cambiare i colori. Il verde che fa spazio al blu governativo e non divisivo. E il Tricolore ha iniziato a comparire anche nelle fotografie che accompagnano le iniziative di stampo salviniano e la comunicazione ufficiale del partito e i social del ministro dell’Interno. “Padania is not Italy”, si diceva una volta. Adesso però prima gli italiani. E la svolta tricolore è servita.

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