Appello a Conte e Di Maio: non svendete l’Italia alla Cina
Nel 16esimo e 17esimo secolo, all’ingresso del maestoso porto di Rotterdam c’era un’ iscrizione emblematica: “PAX ET COMMERCIUM”. Il commercio e lo scambio di beni sono portatori di pace e prosperità, perchè i diversi paesi più difficilmente scendono in guerra se hanno troppo da perdere. Quindi bene, benissimo instaurare nuovi rapporti commerciali con Pechino. Ma ci sono almeno tre caveat da analizzare, due di natura prettamente politica e uno di natura commerciale.
Iniziamo con la questione commerciale. Anche se il Memorandum of Understanding non ha, per il momento, alcuna valenza giuridica vincolante, politicamente è un passo fin troppo lungo. Viviamo in un momento storico in cui gli Stati Uniti stanno ingaggiando un lungo braccio di ferro con la Cina per riequilibrare pratiche commerciali non consone, e noi siamo i primi a metterci di traverso nei confronti di Washington. Non è in gioco la questione di scontentare la Casa Bianca e Trump, non è questione morale o di alleanze: il nostro vero interesse è far si che il paese più forte dell’asse occidentale, gli USA, riescano ad appianare le storture di mercato provocate dai cinesi. La Cina infatti ama eportare i propri prodotti in giro per il mondo ma poi il suo mercato è relativamente poco propenso all’import. L’Italia stessa, come spiegato da Paola Subacchi sul South China Morning Post, esporta per €13 miliardi ed importa per €29 miliardi. Gli Stati Uniti si sono intestati questa battaglia strategica, che sarà utile per riequilibrare le storture di mercato provocate dall’ibrido capital-dirigista cinese. Qualsiasi endorsment politico verso la Cina sarebbe visto come un tradimento di questa linea che, lontana dall’essere nel solo interesse Americano, è in realtà nell’interesse degli equilibri commerciali tra occidente e Cina. E’ per questo motivo che la classe politica italiana, soprattutto i 5 Stelle, stanno provando a vendere il Memorandum come un semplice documentino senza valenza politica. L’obiettivo è di innestare il Memorandum sulla Belt and Road nel solco di un semplice accordo commericale, così da rimanere nel mezzo e non scontentare nessuno. Nella città proibita invece il Memorandum è visto come un vero e proprio accordo politico, vincolante e strategico. Inoltre in Italia si continua a dire che i grandi gruppi cinesi controllati dal Partito Comunista non faranno shopping degli asset strategici della telecomunicazione. Pechino, come sottolineato anche da Daniele Capezzone in un intervento TV a Stasera Italia, dice il contrario. Matteo Salvini stesso ha dato l’allarme su possibili ingerenze di Huawei in un’industria strategica quale quella delle telecomunicazioni. Qual’è lo stato dell’arte?
La seconda questione politica invece ha a che fare con il fare naif della classe dirigente italiana, primo fra tutti il Capo dello Stato Matterella, che mette sul tavolo la questione dei diritti. Da liberale, da uomo a cui piace la libertà declinata in tutti i sensi, non vivrei mai sotto la mannaia del regime autoritario di Pechino. Ma siamo veramente sicuri che mettersi a chiacchierare con Xi Jinping sulla questione dei diritti umani sia una mossa astuta? A meno di miracoli, la Cina nei prossimi anni non cambierà, e certo non lo farà su pressione di qualche paese occidentale. Quella di Mattarella è sembrata più una mossa di facciata per coprire l’imbarazzo con gli alleati, un modo per gonfiare il petto e dire: “noi vi apriamo i porti solo se voi rispettate i diritti umani”. Una mossa molto naive e molto italiana.
Conte e Di Maio: il commercio è giusto, sacrosanto e nuovi partner vanno trovati. Ma non svendete politicamente il nostro paese alla Cina.
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