Ormai ogni giorno d’estate quando accendiamo i telegiornali serali è sempre la stessa solfa: Sea Watch, Sea Eye, Open Arms e Nave Gregoretti. La dinamica la sappiamo fin troppo bene: i criminali trafficanti di esseri umani imbarcano dai porti libici dei clandestini e a poche miglia dalla costa libica le ONG vanno a rccogliere i disperati per portarli in Italia, e dove sennò. Ormai abbiamo capito il giochino, ma sinceramente questo giochino ha stancato sia noi che facciamo politica sia i i cittadini che vogliono godersi in pace le ferie agostane senza dover stare ogni giorno dietro i giochini delle ONG e dei trafficanti. Questo gioco ha stancato anche il Ministro Salvini, che non è proprio l’ultimo pivellino sceso nell’arena politica. Di questi giorni è la vicenda della nave “Alan Kurdi”, che appartiene all’ONG tedesca Sea Eye. Per farla breve, la “Alan Kurdi” ha seguito alla lettera il copione di tutte le altre ONG: è andata nella zona di “search and rescue” libica e ha preso a bordo 40 clandestini. Ora se ne aspettano fuori dalle acque territoriali italiane, sperando che Angela Merkel riesca a barattare la discesa a terra dei 40 della “Alan Kurdi” con la redistribuzione di 30 clandestini su 116 sbarcati dalla Nave Gregoretti. Come se non bastasse, l’Open Arms ha da poco preso altri 52 clandestini proprio avanti alle coste libiche, come se fosse un taxi. A complicare ulteriormente le cose, ci si mette anche la Libia, che se sbatte dei centri di detenzione e ne “sbaracca” addirittura tre: Tajoura, Al Khoms e Misurata. Chissà dove andranno tutte le persone che usciranno da questi centri? Torneranno a casa oppure si imbarcheranno verso l’Italia.

Ora gia il fatto che la Germania si metta a fare dei baratti sulla pelle di questi disperati la dice lunga sulla moralità della Cancelliera, ma al di la di questo c’è un dettaglio che sfugge e che ci eviterebbe di perdere un’estate su sterili polemiche: il punto non è come distribuire i clandestini in Europa, il punto è cercare di non farli proprio partire. Si, perché è inutile girarci troppo intorno: i clandestini sulla costa libica in qualche modo partono, i trafficanti lavorano e le ONG raccolgono e trasportano. Ci sono due soluzioni: una di breve termine, che va ad intervenire direttamente sui traffici di esseri umani, l’altra di lungo periodo che riguarda lo sviluppo sostenibile dei paesi africani. Per quanto riguarda il primo punto, la battaglia contro i trafficanti non va più fatta via mare, ma va fatta su terra: bisogna intercettare i trafficanti di esseri umani al confine sud Libico con il Niger, tagliare le loro rotte fino ad Agadez, punto di snodo fondamentale per il traffico di esseri umani che parte dall’Africa occidentale. Bisogna distruggere le rotte dei trafficanti fin dall’inizio, rinforzare le frontiere con personale preparato e soprattutto armato. L’Europa ha la forza di smetterla di perder tempo dietro la velleità della redistribuzione dei clandestini per affrontare la realtà? Il secondo punto invece è più complesso ed ha a che fare con l’idea che noi occidentali abbiamo del concetto di “sviluppo economico africano”. Le politiche di sviluppo, verso le quali i paesi occidentali buttano ogni anno miliardi di dollari ed euro, non ha funzionato, e non sto qui a ripetere l’esempio del pesce e della canna da pesca. Serve un nuovo approccio che responsabilizzi i paesi africani, che li metta di fronte alle loro decisioni e li renda accountable. Poche settimane fa l’Unione Africana ha firmato la nascita di un’immensa area di libero scambio inter-Africana: l’AFCA. Se c’è un modo attraverso il quale garantire ai paesi africani un futuro di sviluppo sostenibile, non è sicuramente attraverso gli aiuti a pioggia, ma grazie ad un mercato interno più libero. La scommessa sul lungo termine è questa, tutto il resto è wishful thinking.

 

 

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