Elogio dell’acciaio e della vera industria, contro il logorio delle startuppine moderne
Ieri in uno dei miei video in diretta, ho parlato di come mai in questi anni stiamo vivendo il perenne conflitto tra una nuova economia basata sul “tech”, con i campioni della Silicon Valley in prima linea, e la decadenza del tessuto industriale classico, tipo l’acciaio, che ha reso grande e ricco l’occidente. Si perchè la grandezza dell’occidente non inizia con le app, con il tech, con le start up innovative e chi più ne ha più ne metta, bensì con l’acciaio, i carburanti, la chimica e la cantieristica navale, giusto per citarne alcune. Alcuni guru dell’innovation technology dicono che dobbiamo muoverci alti nella “catena del valore”, che ormai l’acciaio lo fanno gli indiani e i cinesi, che ormai noi dobbiamo fare solo servizi, start up innovative e spazi di coworking dove sviluppare “idee e sinergie”. Cavolate, grandi baggianate. Vi sembra normale che nei paesi occidentali tutti si mettano a fare gli startupper, tutti aprano bar fighetti e siano tutti banchieri? Non è possibile, e sinceramente un paese che si regge su cose intangibili non lo vedo troppo solido.
Pensiamo alla campagna presidenziale di Donald Trump, che ha conquistato il voto dei cittadini bianchi che abitano nell’ex polmone industriale dell’America, la Rust Belt. Un tempo questa cintura era il motore che spingeva l’America verso la conquista del mondo, con le sue acciaierie, le sue fabbriche di automobili, i sui stabilimenti chimici e le milioni di persone che lavoravano e che mandavano i figli all’università. Trump nel 2016 si è impegnato a portare di nuovo in America quei lavori, quelle industrie e quelle ciminiere, perchè senza l’acciaio e senza un vero tessuto industriale si è fragili e si dipende dagli altri. Tutti i suoi consiglieri all’epoca gli hanno detto che il suo era un piano folle, che l’America era un paese troppo avanzato per avere un tessuto industriale classico, che tutto doveva diventare terziario e servizi, dovevano essere tutti fighetti e startupper. E invece non c’è nulla di più moderno e di più politicamente giusto che lottare per non perdere valore industriale, per non annichilirsi e consegnare tutto ad indiani e cinesi solo perchè lo fanno a basso costo. Lo stesso discorso ovviamente vale per l’Europa, ed in particolare per l’Italia, che con la sua eccellenza industriale e manifatturiera ci vive e ci ha prosperato per anni. Di acciaio italiano ne ho parlato con Paolo Borchia, membro della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia all’Europarlamento (coordinatore del gruppo Identità e Democrazia in commissione). “L’Italia è 10° produttore di acciaio al mondo e ne produce 24 milioni di tonnellate all’anno, e non possiamo non interessarci ad un settore che da lavoro a migliaia di persone e crea indotto”. Borchia poi pone anche la questione del costo dell’energia in Italia, che ci rende meno competitivi in un’industria in cui il costo dell’energia è una componente essenziale. Senza contare, continua Borchia, che l’industria dell’acciaio in Italia vuol dire expertise e capacità industriali uniche.
Ragazzi, non fraintendiamoci: la presenza di elementi innovativi e di vero valore aggiunto altamente tecnologico, non sono mai un male. Spesso però dietro l’industria delle startup c’è più fuffa che altro, molto marketing e poca sostanza. Ecco perchè è giunto il momento di non dimenticare i comparti industriali che hanno fatto grande l’occidente. Non cediamo tutto a cinesi e indiani.
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