Il politicamente corretto è una brutta bestia. Prima abbiamo Big Tech che censura i post di Trump sui risultati elettorali americani e qua in Italia, più in piccolo, Ghali si lamenta per la “Black Face” di Sergio Muniz (che confesso di non conoscere) a “Tale e Quale Show”. Ghali dice che “bastava l’autotune e un bel look…per imitare me o altri artisti”. Ghali parla del fenomeno della “BlackFace”, ovvero lo scurirsi la pelle con il trucco per imitare persone di colore. Infatti, nell’America dei primi anni ’20 del 900, gli attori bianchi erano soliti scurirsi la pelle per interpretare personaggi neri, spesso dalle cattive intenzioni. Ovviamente sono tempi lontani, di acqua sotto i ponti ne è passata ma a Ghali non importa nulla. Non ha capito che a “Tale e Quale” l’obiettivo non è solo imitare le qualità canore, am anche l’aspetto fisico. Se Ghali è mulatto, ci si aspettava forse che a Muniz non avessero messo un po di fondotinta per scurirgli un pò la pelle? Il razzismo in tutto ciò sta solo negli occhi di chi vuole metterlo in tutte le salse dappertutto, anche per far parlare di se.

Poi però scopri che ad Hollywood hanno fatto Re Artù e Anna Bolena neri, cosa che è storicamente falsa. Come se ad interpretare Martin Luther King mettessero, che ne sò, Tom Cruise. Sarebbe una falsità storica, una boiata. Eppure se provi a fiatare ti danno del razzista e ti costringono ad inginocchiarti per il BLM. Viviamo in una dittatura politicamente corretto, dove la libertà di parola e la libertà artistica non esistono più.

Ne ho parlato anche nel mio Glocal Podcast

Ascolta “Re Artù nero si, Muniz che si trucca per imitare Ghali no perché è “razzista”” su Spreaker.

 

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