Il sovranismo e il coronavirus. Dai confini all’Ue, le risposte e le contraddizioni dei sovranisti
Oltre al principale e più serio risvolto sanitario, le implicazioni di carattere sociale del Coronavirus hanno determinato non solo scontri e discussioni in seno alla politica italiana ma l’emergere di una visione della società agli antipodi e difficilmente conciliabile anche nel caso di un’emergenza come quella che stiamo vivendo.
Già prima che il virus arrivasse nel nostro paese con gli attuali numeri, nella politica italiana si è creata una spaccatura tra i favorevoli a misure restrittive con un controllo rigido verso chi proveniva dalla Cina e un approccio basato su controlli più soft. Senza entrare nel merito delle decisioni che sono state adottate, su cui ci sarà modo di discutere quando l’emergenza sarà terminata e tralasciando analisi di carattere sanitario e tecnico che non ci competono, è interessante approfondire la reazione del mondo sovranista al Coronavirus.
La prima osservazione è legata al tema dei confini; per i sovranisti i confini rappresentano uno strumento di salvaguardia della nazione ed è diritto di uno stato disporre controlli all’ingresso del territorio nazionale. Una visione in contrasto con il pensiero globalista che è fautore di un mondo senza confini. Nel momento in cui vengono effettuati controlli alle frontiere a causa del Coronavirus o addirittura viene impedito l’accesso a cittadini di alcune nazionalità, si concretizza l’applicazione di una politica sovranista. È evidente che essere parte attiva nella chiusura delle frontiere è ben diverso che subire la decisioni di altri stati, lo si è visto nel caso dei turisti nostri connazionali respinti per il semplice fatto di essere italiani, una misura che ha destato sdegno e proteste nel nostro paese ma che è in realtà in linea con una visione sovranista della società. Non possiamo invocare maggiori controlli alle nostre frontiere e misure più stringenti per regolamentare i flussi migratori, salvo poi lamentarci quando gli altri stati sono promotori di misure volte a salvaguardare i propri cittadini. Si obietterà: non si può paragonare turismo e immigrazione, ma il principio è lo stesso e non si entra nel merito delle decisioni adottate quanto al diritto di uno stato di compiere una scelta come la chiusura dei propri confini a cittadini di un’altra nazionalità. Con il coronavirus si è messo alla prova il concetto di “società aperta” non solo a livello globale ma soprattutto europeo e in particolare all’interno dell’Unione europea. La richiesta avanzata da più parti di chiudere Schengen ne è l’emblema, soprattutto nel momento di massima crisi in cui l’Austria ha bloccato i treni provenienti dall’Italia al Brennero per effettuare controlli e il sindaco di Mentone ha invocato la chiusura della frontiera tra Italia e Francia. Fino a pochi mesi fa nessuno si sarebbe immaginato che l’Unione europea venisse messa alla prova per gestire un’epidemia nel proprio territorio e dal mondo sovranista sono arrivate critiche all’Ue colpevole, secondo questa prospettiva, di non aver aiutato sufficientemente l’Italia e di non aver offerto una risposta comune all’epidemia.
Il caso del coronavirus ha anche dimostrato un altro risvolto del sovranismo che continua ad essere influenzato da pulsioni populiste; è il caso delle teorie complottiste in voga tra un certo sovranismo che invoca la guerra batteriologica per spiegare l’epidemia. Oppure la teoria di un esperimento finito male da parte delle autorità cinesi. Dare voce a teorie del complotto senza prove o supportati dalle tesi di pseudo esperti, porta a perdere credibilità, l’ultima cosa di cui ha bisogno in questa fase il sovranismo che, essendo una teoria politica nata di recente, già sconta la mancanza di un pantheon di riferimento e di una base culturale solida e non può lasciarsi attrarre da derive prive di fondamento.