Secondo il presidente del Comitato antimafia Nando Dalla Chiesa – contento lui – le imprese di ’ndrangheta sono state «arginate» da Expo: «Si erano fatte un altro film, non so se sono state escluse, ma sono state arginate – ha detto il docente di Sociologia dei processi economici all’Università di Milano nella sua relazione, sostenendo altresì che il rischio non è affatto sventato, anzi – Le organizzazioni mafiose possano infiltrarsi in Expo attraverso servizi agli ospiti stranieri», come il turismo». In effetti nei mesi scorsi il Comitato aveva lanciato l’allarme anche sui bed&breakfast per Expo 2015, affermando che ‘ndrangheta e camorra starebbero affittando appartamenti a Milano, in zone turistiche, per gestirli direttamente o subaffittarli in nero. Il presidente dell’associazione B&B Marco Piscopo sostiene che sia una sciocchezza («Figurarsi se la mafia si mette in un affare in cui girano poche centinaia di euro in contanti»). Ma io non ci giurerei.

L’unica lamentela Dalla Chiesa la fa nei confronti della società Expo, che a suo dire avere dato «risposte insufficienti» sugli esiti» di due appalti «concessi senza gara e senza bando nel 2012» a due società, la Opera 21 (poi fallita) e la Bentley systems, che secondo Dalla Chiesa non avrebbero «una storia di impegno pubblico contro la mafia». Sarà….

Quello che ha fatto scalpore è l’ingresso nel Cda della società Expo di Domenico Aiello, l’avvocato calabrese fedelissimo del governatore lombardo Roberto Maroni: «C’è un palese conflitto di interessi in atto», ha scritto il deputato Pd Francesco Laforgia in una interrogazione al governo. La cosa ha fatto infuriare anche M5S. Aiello infatti è il legale che difende Maroni dalle accuse di aver esercitato pressioni per far ottenere contratti a due collaboratrici, una proprio in Expo. «La società potrebbe essere parte lesa. L’avvocato è anche nel consiglio di amministrazione di Expo. Di chi farà gli interessi nel corso del processo? Della società Expo o del cliente Maroni?», si chiede il capogruppo grillino al Pirellone Dario Violi. Intanto per queste presunte pressioni la società è indagata in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Aiello era già finito nel mirino quando dalla Procura di Milano trapelò che secondo gli investigatori della Dda di Reggio Calabria risultava in contatto con alcuni imprenditori sospettati di collusioni con la ‘ndrangheta ma soprattutto che era stato pizzicato a scambiarsi informazioni con il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, a sua volta finito nel tritacarne per i suoi pessimi rapporti con il suo procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati.

Secondo i magistrati di Brescia, competenti sul caso, quelle comunicazioni non avevano alcuna rilevanza penale. Certo, i pm bresciani hanno sottolineato l’inopportunità di certi rapporti, visto che una volta ad esempio l’avvocato della Lega aveva scritto un sms di ringraziamento al pm milanese («Uomo di parola! Poi grande magistrato!») a cui Robledo aveva risposto con una citazione in latino: «Caro avvocato, promissio boni viri est obligatio!».

Prima di guardare la pagliuzza negli occhi della Lega il Pd farebbe meglio a togliersi la trave. Sono sempre i grillini a ricordare al premier Matteo Renzi che è difficile «fare la lotta senza quartiere agli scafisti» quando i mercanti di uomini «sono in combriccola con la mafia, la stessa mafia che si è mangiata mezzo Pd a Roma e che lucra sugli immigrati». Già, a distanza di qualche mese dall’indagine su Mafia Capitale che ha imbarazzato i democrat e fatto vacillare il Campidoglio (a proposito, che fine ha fatto il commissariamento di Roma?) non si fermano gli strascichi dello tsunami sulle coop che gravitano nel business dell’accoglienza agli immigrati.

Le coop bianche sono stufe dei guai delle coop rosse, come ha scritto qui il Giornale, e al presidente di Legacoop Mauro Lusetti non è rimasto altro che cacciare a pedate il ras della coop romane  29 Giugno Salvatore Buzzi («Dalle intercettazioni Buzzi ed altri soci manifestavano valori e considerazioni che li hanno posti fuori dal nostro mondo – ha detto Lusetti davanti alla Commissione parlamentare antimafia dedicata all’inchiesta Mafia Capitale – siamo garantisti, ma le considerazioni che emergono li pongono al di fuori, e per questo sono stati tutti espulsi»).

Ma a creare imbarazzo al Pd sono soprattutto i legami tra ‘ndrangheta e Pd in Emilia Romagna che forse sono costati il Quirinale al potente neo ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Lo ha ammesso anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che rispondendo a un question time alla Camera ha ipotizzato «l’istituzione di una commissione d’accesso contro il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata» nei comuni finiti nell’inchiesta AEmilia come Brescello, il cui sindaco aveva recentemente rilasciato «alcune positive dichiarazioni sul conto di uno stretto congiunto del boss calabrese Nicolino Grande Aracri (di cui poi si sarebbe pentito, ndr)» come ha ribadito Alfano. Il guaio è che è proprio la cosca Grande Arachi ad aver infiltrato il tessuto socio-economico emiliano «anche se non sono emersi finora elementi che evidenzino la compromissione di istituzioni locali», si è affrettato a ribadire Alfano.

Insomma, tutti pronti a sparare sulla Lega per una poltrona ma nessuno si indigna se le giunte rosse infiltrate dalle cosche non vengono sciolte. E la ‘ndrangheta sorride…

Ps Il racconto del pm Giovanni Musarò alla commissione Antimafia fa rabbrividire. Il pm ha riferito sull’aggressione subita da parte del superboss della ’ndrangheta Domenico Gallico nel carcere di Viterbo il 7 novembre 2012 per un colloquio in carcere chiesto dallo stesso boss al magistrato che all’epoca era in servizio alla Dda di Reggio Calabria e che con altri magistrati aveva inferto colpi durissimi alle famiglie della Piana di Gioia Tauro. «Sono stati secondi infernali, un’esperienza che non auguro a nessuno – ha raccontato il pm – in pochi secondi mi avrà dato una cinquantina di pugni e sessanta calci» rompendogli il naso: «È un uomo che ha compiuto numerosi omicidi: se ti mette le mani addosso ci mette un secondo a spezzarti il collo. Mi ha massacrato, ho avuto paura».  Musarò ha raccontato che a salvarlo è stato il giovane avvocato che era stato chiamato per assistere Gallico, aiutato dagli agenti di polizia penitenziaria. «Quando ho trovato la forza di guardarlo era steso supino a terra, con un agente della penitenziaria seduto sul suo sterno e diceva “soffoco”».

La colpa di Musarò era stata quella di aver decapitato la potente cosca, compresa la madre ottantenne, e aver sequestrato la maxivilla dei Gallico («una sorta di santuario della ’ndrangheta»). Musarò si aspettava l’aggressione: «Avevo chiesto di essere assistito da due agenti di polizia penitenziaria, ma nella saletta – troppo piccola – Gallico era entrato solo, senza manette e nessuna scorta dicendo “dottore, che piacere, finalmente ci conosciamo dal vivo. Posso avere l’onore di darle la mano?” per poi colpirmi violentemente rompendomi il naso e poi massacrandomi con calci e pugni». Negligenza? Atto preordinato? «Una leggerezza, una concessione a un boss considerato un personaggio leggendario, di grande carisma».

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