Il superpentito di ‘ndrangheta Saverio Morabito sarebbe finito in cella dopo aver rifiutato il programma di protezione e aver cambiato volto e nome. La storia la racconta su Repubblica Piero Colaprico, che ripercorre l’inchiesta che negli anni Novanta smantellò la ‘ndrangheta milanese facendo catturare 200 persone. Un’operazione che indebolì non poco le cosche, alle prese con la metamorfosi che ha portato oggi le ‘ndrine calabresi a essere la più grande holding criminale al mondo grazie soprattutto al sostanziale monopolio del traffico di stupefacenti. Mentre la mafia si scannava e litigava con lo Stato a colpi di autobombe e di stragi la ‘ndrangheta lavorava sottotraccia. A Milano i soldi dei sequestri di  persona vennero investiti nel traffico di droga, molto più redditizio e paradossalmente meno inosservato. Un’intuizione che per poco Morabito non mandò a monte con le sue rivelazioni.

Le mafie, la ‘ndrangheta su tutte, hanno nella capacità di rigenerarsi dopo una retata il loro principale punto di forza. Morto un capo se ne fa un altro. Anche se in realtà, come dimostrano le inchieste, di capi nella ‘ndrangheta apparentemente non ce ne sono. E se ci sono si muovono nell’ombra. Muovono i fili. Stanno nella zona grigia nata negli anni Settanta con la nascita della Santa, una figura a metà strada tra il mondo criminale e i palazzi del potere. Sotto il grembiule della massoneria la ‘ndrangheta ha allacciato rapporti strettissimi con chi conta: grand commis, politici, boiardi di Stato, giudici, giornalisti eccetera.Morabito quel mondo lo conosceva bene. E non è un caso se oggi la ‘ndrangheta abbia resistito anche alle due maxi operazioni di metà anni Duemila (Crimine e Infinito), a testimonianza della sua capacità di rigenerarsi. Questo mi disse allora su quelle inchieste.

Secondo lei la stagione dei pentiti è ancora valida dal punto di vista investigativo o si è esaurita…»
«Esaurita no. Ma il pentimento è una scelta. La ‘ndrangheta questi ce l’hanno nel sangue, nelle mura di casa».
«E lei non crede a questi pentiti?»
«No».
«Ha letto le carte dell’inchiesta, ha visto i nomi che ricorrono?»
«Ci sono molti personaggi di secondo e terzo piano. Mi sembra per lo più gente che non ha mai preso una pistola in mano… Gente che parla di quelli che contano senza averli mai incontrati. Se non li hai mai incontrati, non conti niente…».
«Gente di secondo piano?»
«Sì. Quest’operazione non mi sembra significativa…».
«Ha sentito parlare di questo Zumbo, uno che andava a casa di Ficara a dire che a Milano stavano facendo un’inchiesta con molti arresti, eccetera. Ma queste figure che si muovono tra questi due mondi, diciamo, sono…»
«È una via di mezzo tra il folklore e la millanteria. Sono personaggi che le famiglie usano per mandare messaggi».
«Sono dei pizzini viventi, diciamo»
«Diciamo… Ok, basta così. Ciao, fai il bravo».
Click.

Parole che confermano i dubbi che certe operazioni, a volte, servano a far fuori personaggi troppo compromessi per rimpiazzarli con padrini e picciotti più affidabili.

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