La notizia era nell’aria. Lo Stato non vuole funerali pubblici per Antonio Bellocco, l’ultrà interista rampollo del casato di ‘ndrangheta di San Ferdinando di Rosarno ucciso lo scorso 4 settembre a Cernusco sul Naviglio (Milano) dal capo ultrà dell’Inter Andrea Beretta. Era il figlio di Aurora Spanò, condannata a 25 anni di carcere al 41bis (sette in più del marito Giulio Bellocco, morto a gennaio a 74 anni) al processo Tramonto, donna simbolo di quella ‘ndrangheta matriarcale in cui sono le donne a comandare. Scrive la Questura di Reggio Calabria che la celebrazione «in forma pubblica e solenne» del funerale del ragazzo – che a 36 anni aveva già una condanna per ‘ndrangheta – potrebbe «rappresentare l’occasione per l’ostentazione della forza della famiglia criminale ed essere, altresì, propizia per incontrare tra affiliati, cementare alleanze o programmare iniziative illegali con conseguenti e potenziali turbative dell’ordine e della sicurezza pubblica».

Per lo Stato è una sconfitta, è il suo stesso funerale. Una cerimonia pubblica avrebbe attirato i media, avrebbe acceso i riflettori su San Ferdinando, la Piana di Gioia Tauro, avrebbe costretto i giornalisti del Nord a guardare in faccia la mafia calabrese, il problema Calabria sarebbe finito giocoforza sulle tv nazionali. E pazienza se l’opinione pubblica ubriaca di facili verdetti avrebbe vomitato sui social la propria facile indignazione sulla mia martoriata terra, su ciò che ne è rimasto, sulle macerie lasciate da uno Stato come polvere sotto il tappeto da nascondere, per mascherare la propria debolezza, se non una qualche complicità nell’aver contribuito a regalare questo lembo di Mediterraneo ai Bellocco e ai suoi seguaci.

Meglio non vedere, meglio nascondersi dietro fantomatiche ragioni di ordine pubblico. Chi si sarebbe aspettato qualche pagliacciata tipo carrozze e cavalli sarebbe rimasto deluso. In Calabria non succede un cazzo nonostante degrado, povertà e statistiche agghiaccianti sul lavoro. L’idea che al funerale le cosche avrebbero potuto «programmare iniziative illegali» fa ridere, anzi fa piangere, perché arriva dal secolo scorso e tradisce tutta l’incapacità della magistratura di comprendere il fenomeno ‘ndrangheta nella sua complessità. San Ferdinando è cosa dei Bellocco, lo dicono le sentenze ma non ce n’era bisogno.

Lo Stato si è arreso. La ‘ndrangheta ha vinto anche da morta perché si è nascosta in mezzo allo schifo che ha creato, si è confusa con il suo popolo, si è eclissata come i miliardi del narcotraffico spariti dentro l’economia legale grazie alle alchimie contabili della borghesia mafiosa, che continua indisturbata ad agire in questa terra senza buoni, piena di buoni a nulla capaci di tutto. Amen.