Viva le raccomandazioni
Il bando è la morte della cultura. Roberto Benigni lo chiami in tv tramite bando pubblico? Vittorio Sgarbi lo chiami dopo una selezione? Massimo Cacciari lo metti al vaglio di parametri, criteri, punteggi, requisiti, graduatorie? Riccardo Muti, Uto Ughi, i compianti Luciano Pavarotti, Umberto Eco, Giorgio Strehler, sono passati da bandi per dirigere o imporsi in teatri, case editrici, orchestre sinfoniche? L’arte e la cultura vanno avanti per evidenze, per chiarissime evidenze, cioè per riconoscimenti, e di conseguenza per affinità pre-razionali, pre-logiche, che nel linguaggio comune si chiamano preferenze e che, nel moralismo tanto di moda oggi, si chiamano raccomandazioni. Io ti raccomando lui, cioè ti evidenzio lui, perché se lo merita. L’oggettività acefala dei numeri, dati, cifre, percentuali, requisiti di ammissibilità, non ha niente a che vedere con l’aria libera e turbinosa di cui si nutrono arte e cultura. La scienza è troppo lenta per me, scriveva Arthur Rimbaud, e aveva ragione. Viva le sane raccomandazioni.