L’arte è eterna, ed io no
L’uomo nudo è bello solo se è un fusto di bronzo del Giambologna. Se lo vedi in spiaggia, soprattutto se depilato, con le bollicine rossastre e il brufolo che gli nasce dove ha rasoiato il pelo, oppure flaccido, bianco morto, o grigio topo, come il sottoscritto, meglio per le ragazze buttare gli occhi all’orizzonte a vedere gli yacht a largo. Non vado mai al mare per questo: perché detesto essere ammirato meno di uno yacht. L’arte classica e l’arte rinascimentalizzata o neoclassicizzata ci umiliano. Tanta è la grandezza della nostra mente, tanta è la vergogna dei nostri corpi maschili penosi. Guarda i Bronzi di Riace, guarda il Gladiatore Borghese, l’Atleta di Lisippo, l’Apollo del Belvedere, poi guardati allo specchio. Qualcosa non torna. Dunque, o corri a sfarti di interventi di lifting, liposuzione, rinoplastica, tirature, ripuliture, oppure accetti l’evidenza: e l’evidenza è che l’arte è più immortale di noi, ma ha bisogno della nostra mortalità per continuare ad esistere. Il Discobolo e la Venere di Milo sono più immortali di noi, ma hanno bisogno dei nostri occhi mortali, delle nostre mani mortali, dei nostri desideri mortali, per stare ancora sul piedistallo della loro intatta immortalità.