Le chiese trasformate in ristoranti
Nella pancia di un affamato è meglio che ci stia un piatto di lasagne che l’omelia di un prete. Le lasagne almeno riscaldano. Ma perché dare da mangiare agli affamati imbandendo tavolate di primi al ragù dentro le chiese storiche, come ha fatto a Roma, Napoli e in altre città, anche quest’anno, la Comunità di Sant’Egidio? Il donare a chi ha bisogno è ovviamente meritorio, ma a chi giova trasformare una navata di intarsi, pale d’altare, mosaici, volte e pulpiti, in un ristorante seppur caritatevole? Sappiamo tutti che chiesa viene da ecclesia, cioè comunità, condivisione; sappiamo che Gesù riuniva gli apostoli attorno alla tavola, e che offrire ai bisognosi è quanto ha richiesto Dio per stargli più vicino. Ma cosa aggiunge farlo in una chiesa, tra affreschi, pitture e sculture, anziché in un capannone o in un padiglione climatizzato di una fiera? Le chiese monumentali sono chiese monumentali, da vedere, osservare, musealizzare, attorno a cui riunirsi e pregare: non sono luoghi dove si intavolano pranzi per mangiare. Per questo ci sono altri spazi, così come non celebri un matrimonio in un cimitero e non insegni geografia nella sala operatoria di un ospedale. La carità – doverosissima per un cristiano – richiede altre destinazioni. Ma queste iniziative di Sant’Egidio sono spie silenziose (e in fondo innocue, non nocive) di un male ben più profondo nel Cristianesimo europeo: le cattedrali e le chiese monumentali esistono e il Cristianesimo non sa più cosa farci, se non farle essere solo occasione di transito turistico o, appunto, di saltuaria carità. Se vuol esserlo, sia dunque più di rottura, più rivoluzionante, il pontificato di Papa Francesco: le chiese ospitino tutti i giorni, pranzo e cena, le mense dei bisognosi. Non solo a Natale o per qualche ricorrenza, ma tutti i giorni, dalla Cappella Sistina al duomo di Firenze. Solo così, con questa violenta e caritatevole trasformazione, vedremo un segno di nettezza francescana. Altrimenti continueremo così, nel non saper cosa farci nelle cattedrali e nelle chiese affrescate, se non a volte la doverosa mensa per i poveri o, nei casi più radical chic come a Milano, mostre d’arte immonde.