Staccioli, l’arte fugge dalla città
In fondo perché abitò di più le vallate, le colline e i boschi rispetto alle piazze, alle cattedrali, ai chiostri, ai palazzi delle città? Perché Mauro Staccioli (1937-2018), da scultore, aveva intuito che, negli spazi condivisi della città, la scultura, nella contemporaneità, diventa decorativa, ornativa, non potendo essere, come lo è stata per millenni, fino al fascismo, civilmente funzionale. Nelle città la scultura contemporanea non ha funzioni pubbliche, se non di scenografia, di fondale scenico. Le armoniche, equilibrate, sospese sculture di Staccioli sono (grandi) opere d’arte se stanno tra gli orizzonti delle colline, dei prati, dei boschi: diventano invece orpello, sfizio, bizzarria, capriccio, se le metti in una piazza cittadina dove tutto ha una funzione (il palazzo comunale, le poste, la biblioteca, il porticato, la chiesa, l’anagrafe, la scuola, la stele memoriale) tranne proprio la scultura. Se vai su Google Immagini e digiti “Mauro Staccioli”, trovi tantissime fotografie delle sue opere proprio in contesti naturali, archeologici, paesaggistici, perché lì trovano la loro esaltazione. Pochissime sono invece le inquadrature in spazi urbani, e se ci sono, sono fuori contesto (come una tigre tra i fornelli di una cucina) come l’opera pensata per il Centro Pecci di Prato o per l’Olympic Park di Seoul. Ecco la grande inquietudine silenziosa che ci ha lasciato Staccioli e che i critici d’arte finora hanno indagato poco: la scultura, nella contemporaneità, per darsi dignità di opera deve fuggire dalla città (dove non ha funzioni) e tornare tra nuda terra e nudo cielo (dove tutto acquisisce funzioni e potenzialità). L’opera realizzata per Villa Celle di Giuliano Gori, vicino Pistoia, è non a caso nel bosco, tra lecci e pungitopi. Finché l’arte non ritrova un ruolo di pubblica utilità, nelle città è facoltativa. E ciò che è facoltativo è ornamentale, superfluo. In fondo inutile. Come insegna Staccioli, che infatti si è ritrovato, in grandezza e spessore, lontano dagli spazi urbani, tra i silenzi degli abeti, dei cipressi e le morfologie sinuose dei boschi e delle colline.