Perché distruggere l’arte?
Ma l’uomo che distrugge sopravvive alle sue distruzioni? Chi ha distrutto e devastato i siti archeologici di Palmira e Aleppo in Siria è sopravvissuto alle sue distruzioni? È più immortale lui o l’oggetto della sua demolizione? Cosa è rimasto di chi, incendiando la Flakturm Friedrichshain a Berlino, ha incenerito il San Matteo e l’angelo di Caravaggio, la Crocifissione di Filippino Lippi, i lavori di Rubens e Paolo Veronese? Per questo, proprio perché alla lunga non rimane niente, né dell’incenerito né dell’incenerente, quale vantaggio ha distruggere le opere d’arte, grandi o piccole che siano? Che vantaggio ha portato distruggere la Vespa rielaborata dall’artista Stefano Tonelli, mostrata alla Fondazione Piaggio di Pontedera, e poi ritinteggiata come fosse un motorino rubato da riverniciare? Quale vantaggio ha aggiunto cancellare del tutto l’arte ambientale che Tonelli fece tra pavimenti, pareti, sedie, tavoli di un elegante locale maremmano, di cui restano solo fotografie e immagini, perché nella realtà l’arte è stata coperta da uno squallido intonaco a tinta unita? “L’uomo che non può creare vuole distruggere” – scriveva Erich Fromm. E questa frase la inciderei a lettere brucianti di fuoco sopra gli intonaci di chi ha coperto, sopra i sorrisi morti di chi ha distrutto.