IMG_6371Artisti, arriverete ad odiarmi, ma lo ripeto ugualmente: non falsificate le vostre opere! Walter Benjamin, nel cuore del secolo passato, in quel suo noto capolavoro di lucidissima profezia, chiarì che il grande limite (e potenzialità) del Novecento era la cancellazione del concetto di unicità di opera d’arte data dall’illimitata moltiplicazione delle sue svariate e fedelissime riproduzioni, che non erano i calchi o le rielaborazioni già presenti nella classicità, ma erano appunto le esatte duplicazioni degli originali garantite dalla tecnica moderna. Il nostro tempo, che ha già metabolizzato il multiplo perfetto che si affianca all’originale (depotenziandolo nell’unicità, potenziandolo nel valore), si trova ora di fronte ad un altro problema dato dalle innovazioni: l’immediata alterazione non dell’opera d’arte, ma della sua immagine. Tu fai un quadro, lo fotografi e, per farti pubblicità, lo vuoi mettere sui social. Per catturare più consenso, è sempre più frequente l’alterazione dei suoi colori, del suo contesto: l’immagine del quadro è spesso risaltata su fondo nero, saturata, iperacutizzata negli accenti cromatici, oppure illuminata scenograficamente. Ciò comporta una divaricazione spesso vertiginosa tra opera originale e la sua immagine, a tutto danno dell’originale, perché tra un’immagine eccitata e l’originale a tinte normali, passa come dal giorno alla notte. Cosa ne deriva? Che sui social e su internet esistono moltitudini di opere d’arte che non esistono nella realtà e che spesso sono più attraenti della realtà stessa. Arriveremo a costruirci una galleria di opere che ameremo sul web e deploreremo dal vivo. L’immagine che si preferisce al suo soggetto, come la foto di un’avvenente modella preferita alla realtà di una moglie.

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