Nel 1988 Ciriaco De Mita era contemporaneamente segretario del principale partito italiano (la Dc) e presidente del Consiglio. Ventisei anni dopo, in uno studio televisivo su un’emittente che all’epoca neanche esisteva, La 7, il potente ex leader democristiano a 88 anni si trova di fronte un giovanotto di 41, Matteo Renzi, che ricopre anch’egli, oggi, entrambe le cariche.
Ma le analogie fra i due si fermano qui. Per il resto non potrebbero appartenere a mondi più distanti. Da una parte “un intellettuale della Magna Grecia” (copyright Giovanni Agnelli) dall’altra un giovin fiorentino ambizioso e spregiudicato.
Per rimanere in tema con la terra che ha dato i natali al nostro Presidente del Consiglio e parafrasando un altro ben più suo illustre figlio, si può asserire con convinzione che, dopo il confronto, al povero Matteo non è restato altro che andare a letto recitando Dante, anzichè le solite preghierine della sera:

“Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai asfaltato da De Mita”.

Renzi aveva avuto vita facile nel precedente dibattito televisivo, moderato anche questo da Enrico Mentana, con il professor Gustavo Zagrebelsky che pur essendo ovviamente preparatissimo in materia costituzionale, si è dimostrato carente dal punto di vista comunicativo. Se si pensa che persino Maria Elena Boschi è risultata vincente a Otto e mezzo, sempre su la7, con un Salvini evidentemente non in serata, ridanciano e poco preparato, non si può che giungere alla conclusione che ci voleva una vecchia volpe democristiana per questi parvenu.
De Mita ha smascherato Renzi. Credo che “smascherare” sia l’aggettivo più consono per definire quello che è successo ieri sera. Mi aspettavo, conoscendo la cultura, la capacità di analisi e il forbito eloquio demitiano, che lo avrebbe battuto su questo campo. La mia perplessità verteva semmai sul fatto che egli non fosse competitivo sul piano del linguaggio televisivo – che necessita anche di semplificazione, allusioni, freddure e talvolta irriverenza -. Linguaggio che, va detto, Renzi utilizza con grande maestria.

Ad impressionare non è certo stata la preparazione o la lucidità di pensiero – soprattutto se relazionata all’età anagrafica – del leader democristiano quanto piuttosto la capacità di “giocare” sullo stesso terreno dell’avversario, strappandogli la maschera dell’insolenza e rispondendo a tono con inaspettata freschezza. Un colpo dietro l’altro. Inesorabile.
«Hai preso appunti sparsi e vieni a dire cose balorde con la faccia da santarello. E ti pregherei di non interrompermi».
«Credo che (Renzi, ndr) sia irrecuperabile perché ha un tale consapevolezza di sè che non vede limiti alla sua arroganza».
«Tu non cambi partito. Però cambi amicizie, che è lo stesso. Io sono nato e muoio democratico cristiano. Tu non so cosa sei nato».
«Quando la politica è mestiere può essere breve, quando è pensiero deve essere lunga».

Non serve aggiungere altro. E si badi bene, non si tratta di slogan vuoti e frasette ad effetto: questo signore di 88 anni ha riassunto con poche parole “l’essenza” renziana, lo ha smascherato e messo all’angolo. E non era impresa facile.
Senza indulgere nella leziosità si può ben  ritenere che l’ultima affermazione riportata può essere considerata un vero e proprio aforisma.
D’altro canto, senza nessun intento giustificatorio per gli errori commessi o sentimenti inutilmente nostalgici, è però desolante che dai primi anni Novanta, gli anni della furia distruttrice di Tangentopoli, ad oggi, non solo non sia cambiato nulla in termini di corruzione, ma che non siano venute fuori persone, a parte forse un paio,  all’altezza dei vecchi leader della cosiddetta Prima Repubblica. Al crollo di un’intera (o quasi) struttura partitica, al suo smantellamento feroce, meticoloso, preciso e senza scampo non ha fatto da contraltare la nascita di una Politica nuova, con la P maiuscola. Semmai si è lasciata la vecchia politica per approdare a un sistema in cui la politica è la conquista del potere e non il motivo per cui il potere si conquista. Non c’è più la competizione per l’interesse generale.
Ma talvolta il Re è nudo. L’approssimazione rende arroganti ma è facilmente smascherabile, tanto da permettere al mai domo De Mita, sul finire della tenzone, un’ ultima stoccata da mestro:
«si vede che l’ora è tarda, ti stanchi presto».

 

 

Una considerazione a margine: Mentana si conferma, ma non ve ne era bisogno, uno che la sa lunga ed un grande conoscitore delle cose della politica. E La 7 si scopre essere il vero servizio pubblico italiano.

E un doveroso ringraziamento a chi ha coniato sul web la gustosa parafrasi del Canto I dell’Inferno.