Direttiva Copyright: la Commissione europea non eletta da nessuno vuole imbavagliare il web
Studenti di tutto il mondo, la pacchia è finita! Da oggi i temi di italiano e le ricerche di storia dovrete farle da soli, Wikipedia non potrà più venire in vostro soccorso. E già dal 3 luglio la versione italiana della più grande enciclopediaon line esistente, ha abbassato le saracinesche in segno di protesta contro l’approvazione della direttiva sul copyright, la riforma europea sul diritto d’autore che il Parlamento Europeo riunito in plenaria a Strasburgo voterà oggi.
I maturandi hanno scampato il pericolo di un soffio, ma i loro colleghi universitari non potevano augurarsi disgrazia peggiore proprio durante la sessione estiva. Vabbè, qualche giorno e poi la situazione tornerà alla normalità, si potrà di nuovo “prendere spunto” liberamente dal web per tesine, appunti, dispense e quant’altro. Speriamo.
Legittime preoccupazioni degli studenti a parte, se la direttiva dovesse passare così com’è rischiamo di dire tutti addio all’internet come lo conosciamo: gli editori potranno battere cassa anche per link, snippet e frammenti di articoli completi, già protetti dal diritto d’autore. Si chiama “diritto esteso”, e salvo le dovute eccezioni (tra cui proprio Wikipedia e i contenuti condivisi con scopo di ricerca) potrebbe mettere ko la struttura stessa del web, che si basa appunto sui link.
L’articolo 11 della direttiva, approvato con l’emendamento passato lo scorso giugno per il vaglio della Commissione giuridica dell’Europarlamento, prevede infatti la cosiddetta «tassa sui link», cioè l’obbligo di ottenere una licenza quando si condividono frammenti di di articolo con un rimando a un collegamento ipertestuale.
Niente più articoli di giornali scambiati su Facebook, niente link ad altri post sui blog e, ovviamente, niente più aggregatori di news (dovremmo tornare a consultare i quotidiani uno per uno come i bei tempi andati). Qualcosa del genere è già successa in Spagna dopo la forte pressione dell’associazione degli editori, con il conseguente crollo delle visite proprio dei siti dei quotidiani.
La cosa peggiore però è che a garantire il diritto esteso degli editori non sarà un’autorità terza o un tribunale ad hoc, ma proprio Facebook, Twitter, Instagram & co. L’articolo 13 della già citata direttiva istituisce il cosiddetto upload filter, un filtro che impedisce di “caricare” contenuti protetti da copyright: in pratica, prima di vedere pubblicato il nostro tweet ci potrebbero volere ore, perché bisognerebbe mettersi in fila, un po’ come all’aeroporto. E alla fine il tweet ci potrebbe pure essere “cassato”, perché rimanda a materiale protetto dal nuovo diritto esteso. Una follia, che dopo il caos iniziale si risolverebbe di fatto consegnando alle piattaforme il diritto a “bloccare” in massa gli utenti per evitare obblighi e multe (e i costi dei filtri).
La Commissione europea (quella non eletta da nessuno e che ha presentato la proposta di riforma), non è infatti mai riuscita ad indicare una soluzione tecnica migliore di questa, e cioè creare dei censori privati che rispondono soltanto a logiche di mercato. Sperando, tra l’altro, che non si creino intoppi nella fase di ricezione della direttiva nei diversi stati membri, dove la libertà d’espressione, ringraziando Dio, è nella gran parte dei casi garantita dalla Costituzione. Un diritto sacro (per noi giornalisti dovrebbe venire prima ancora di quello d’autore) che rischia di scomparire per colpa della negligenza dei burocrati e della loro accondiscendenza verso le lobby dei grandi editori. Un altro pezzettino della nostra sovranità che se ne va a farsi benedire.