Bentornati a scuola, schiavi!
Il termine “bravo” viene dal latino “pravus” che ha il significato di malvagio, selvaggio ed indomabile. Passato per lo spagnolo, Manzoni ne “I promessi sposi” ne mantiene l’accezione originaria. Bravo, nell’odierna scuola italiana, vuol dire che sei uno schiavo. Cioè che fai tutti i compiti, siedi con la postura corretta, stai zitto in classe, conosci tutte le tabelline ed i capoluoghi di provincia, leggi i libri giusti, frequenti le persone giuste, pensi esattamente quello che devi pensare ed utilizzi il tempo libero nella maniera più proficua possibile. Il tutto imposto dal totalitarismo educativo dell’unico modello di mondo possibile. Non è stato sempre così. Quelli bravi, una volta, erano quelli cui nessuno poteva stare dietro, quelli pericolosi, indomabili e selvaggi che hanno impresso nella storia il mito etereo del genio italico. Alcuni ve li faranno studiare nella loro versione depotenziata. L’idillico Leopardi, ad esempio, sarà l’unica narrazione del recanatese che conoscerete nei dettagli. Guai ad avvicinarvi alla Palinodia o ai Paralipomeni della Batracomiomachia! Nessuno vi farà conoscere le prime critiche letterarie al neoliberismo. Quale professore irreggimentato nei canoni contemporanei, del resto, oserebbe mettervi a conoscenza che la tesi sulla trasposizione del valore dalle persone alle cose non è opera di un prete bigotto ma dell’autore de “La ginestra”? Manzoni riteneva che la “Storia della colonna infame” fosse la sua opera decisiva. L’argomento centrale di questo saggio è l’abuso di potere da parte del potere costituito. All’interno di un processo, peraltro. Qualcuno ne ha mai sentito parlare tra i banchi?
La letteratura sarebbe un’arma rivoluzionaria ma viene puntualmente ridotta alla ripetizione dei canoni culturali che più si confanno al pensiero unico. Non esiste una libertà di lettura, del resto. Dentro la trasmissione del sapere nozionistico non c’è lo spazio temporale per i libri in genere, figuriamoci per leggere qualcosa di differente dal consuetudinario. Chi ci prova viene puntualmente scoraggiato. L’ossessione per l’analisi del testo, per la parcellizzazione dei significati, e la necessità deontologica del riassunto, della semplificazione a tutti i costi, poi, contribuiscono a mortificare qualsiasi indole, qualunque vocazione alla creatività. Ne viene fuori un intero sistema scolastico abituato ad ubbidire al potere e, nel contempo, a lamentarsi di questo. Eserciti di sottomessi al padrone che scappano nelle cantine per sfogarsi con l’oste riguardo quanto sia ingiusto il sistema che essi stessi alimentano. Le chiamano proteste, di solito. Le scienze? Difficile calcolare il numero degli edifici scolastici intitolati a Galileo Galilei, più semplice notare come le materie scientifiche vengano insegnate nella medesima modalità con cui lo avrebbe fatto Aristotele: teoricamente. La propaganda sull’esportazione del sapere scientifico nazionale è solidissima, il realismo sul fatto che i laboratori nelle scuole costituiscano un’utopia, meno. Il sapere tecnico sarebbe, per i cantori dell’economicizzazione della conoscenza, l’unico teso all’utilità ed al profitto eppure viene ancora insegnato a colpi di libri di testo e gesso sulla lavagna. L’inglese? Tredici anni ad imparare la lingua propria del capitalismo per poi essere puntualmente costretti ad emigrare sei mesi in Gran Bretagna al fine di padroneggiarla sul serio. Era noto a Ferdinand de Saussure, linguista e semiologo di fine ottocento, che lo studio della grammatica rappresentasse un fatto ben diverso da quello di una lingua. Lo sport? Vivacchia dentro una simulazione chiamata educazione fisica. Così, mentre scompare il presupposto della competizione grazie alla litania sull’uguaglianza, pretendiamo palestre e campi sul modello americano. La storia e la filosofia meriteranno un ragionamento a parte.
Hanno costruito un mondo aperto ma hanno imprigionato i cervelli dentro i piani di offerta formativa. Quanto produce leggere Celine? Quanto è conforme ai canoni del pensiero unico? Zero e per niente sono le risposte quindi fuori dal P.O.F.! Se la scuola attuale ha un peccato capitale, d’ altro canto, è quello di pretendere di insegnare non solo cosa si debba pensare ma anche come si debba pensare. Il sapere del singolo è divenuto irrilevante rispetto alle scelte sessuali, alle scelte affettive ed alle scelte sociali. Pensa questo e pensalo così è l’imperativo categorico! Ma un’istruzione che vuole valutare ed imporre chi sei e non cosa sai non incarna più un luogo di formazione ma di ingegneria sociale, di fabbricazione antropologica. L’imposizione è subdola: nell’infinità potenziale di scelte proposte, la morale raccontata è sempre la stessa. Andando a scuola si acquista un pacchetto di trecento canali televisivi che trasmettono tutti lo stesso messaggio: la cultura ti salverà! A patto che sia quella che diciamo noi! Il gender o arte della manutenzione mentale è l’esempio lapalissiano di questa logica impiantata.
Ezra Pound, uno di quelli che non vi faranno leggere mai, riteneva che: ” lo schiavo è quello che aspetta qualcuno a liberarlo.” Pier Paolo Pasolini, uno che al massimo incontrerete di striscio, scriveva che: ” La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio). ” Non ve li faranno studiare perchè sono indomabili, selvaggi e pericolosi. Sono dei “bravi.” La scuola italiana ci tiene tanto a far sì che voi non lo diventiate.
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