Le difficoltà del governo Netanyahu
Riuscirà la minaccia del Presidente Obama di cancellare la visita in Israele alla fine di marzo se Nethanyahu non sarà riuscito a formare per quella data un governo coi partiti usciti dalle elezioni del mese scorso? Probabilmente sì, anche perché l’alternativa sarebbero nuove elezioni dalle quali il partito del Premier Likud (associato con quello del ministro degli esteri Liberman) uscirebbe ancora più indebolito.
Il problema che Natanyahu deve affrontare é doppio. Se vuole governare deve “ingoiare il rospo”, come scrivono i giornali, e creare un coalizione con il partito nuovissimo Yesh Atid (C’é futuro) dello star della tv Lapid che si batte per una più equa distribuzione della torta economica e del fardello della sicurezza fra le varie componenti della società israeliana . Questo significa l’estensione del servizio militare ai giovani ortodossi ma anche una politica economica meno oberata dalle spese militari e da quelle in sostegno dei coloni. Inoltre Natanyahu deve accettare nel futuro governo un secondo partito emerso dalle ultime elezioni, Ha Bait ha Yehudi ( La casa ebraica) di un altro nuovo arrivato sulla scena politica: Bennet, giovane sionista religioso e ricco operatore tecnologico che non intende entrare in un futuro governo se in esso non ci sarà anche il partito modernista di Lapid.
Ed é qui che Netanyahu ha difficoltà a affrontare il suo secondo problema. Dal punto di vista politico Lapid e Bennet sono distanti fra di loro: l’uno é aperto a un accordo coi palestinesi per la coesistenza di un loro Stato con quello israeliano, l’altro non lo è affatto; l’uno é decisamente laico, l’altro religioso; l’uno opposto alla colonizzazione, l’altro favorevole. Ma ad unire questi due nuovi arrivati sulla scena politica israeliana, é la loro convinzione che il Paese deve sbarazzarsi della vecchia classe politica, di un partito Likud sclerotizzato con radici ideologiche nazionaliste pre-statali. Un partito storico ma che ha perduto l’appoggio della gioventù e degli ambienti economici e che è restato al potere grazie alla collaborazione del blocco dei partiti ortodossi disinteressati a partecipare alla difesa di Israele nel servizio militare ( ritenendo lo studio della Legge sacra come migliore difesa dello Stato) e ad entrare nel mercato produttivo, preferendo farsi mantenere dalla pubblica finanza.
Dietro queste schematizzate posizioni c’é però un altro elemento singificativo: la trasformazione dello stato di Israele da cliente a produttore energetico grazie agli enormi giacimenti di gas sottomarino recentemente scoperti e in piccola parte già produttivi. Si tratta di una rivoluzione economica e strategica che offre per la prima volta a Israele la possibilità di risolvere i suoi problemi sociali e di integrazione del settore arabo (23% della popolazione) unitamente forse ad una nuova politica di soluzione del problema palestinese facendoli partecipare a queste nuova ricchezza. Se questo nuovo approccio é ralizzabile resta da vedere. Certo é che il paese non sostiene più l’ideologia “apocalittica” della vecchia destra nazionalista fondata sulla preminenza della difesa armata sul dialogo e sul compromesso col mondo arabo.