In Egitto, in Nigeria, nel Sinai si bruciano le chiese cristiane. In Israele dove, anche se non lo si vuole ammettere, i cristiani si sentono al sicuro e sono liberi di praticare il loro culto, un noto analista politico dell’indipendente Ha’Aretz Carlo Strenger propone di nominare papa Francesco al posto dei gran rabbini rieletti di recente, dopo una vergognosa lotta elettorale. Non c’è, tuttavia, pericolo che gli israeliani si convertano all’insegnamento del rabbino Gesù.
Un altro grande esempio evangelico è dato in Egitto dalla decisione di Tawadros II papa dei copti, oggi braccati da più parti, di non opporre violenza alla violenza a cui i suoi 17 milioni di fedeli sono sottoposti. Raro esempio collettivo di porgere l’altra guancia.
Una proposta provocatoria come quella di Strenger, priva naturalmente di ogni sostanza e dettata dalle beghe israeliane interne, dimostra quanto sia oggi larga l’influenza morale e simbolica del nuovo vescovo di Roma.
Come si spiega un fenomeno del genere? James Carroll, famoso giornalista del New York Times e dissidente della Chiesa romana, lo spiega scrivendo che papa Francesco ha stupito e continua a stupire mettendo fine alla “cultura belligerante della chiesa contro la modernità e a una posizione ultradifensiva che, con brevi eccezioni di Giovanni XXIII, è stata praticata per secoli”. Il nuovo papa, al posto della politica ultradifensiva, che tranne rare eccezioni è stata praticata per secoli, ha inaugurato quella Carroll definisce “la cultura della solidarietà”. Una cultura che, nel mondo della povertà, è diventata la nuova strategia papale. Una strategia che, ovviamente, fa appello anche ai poveri spiritualmente. Costoro, nelle società materialiste e violente della nostra epoca, rappresentano masse in continua crescita. Papa Francesco rifiuta di impegnarsi in quello che prima veniva considerato un conflitto di classe pericoloso per la chiesa cattolica sostituitendolo con il richiamo al dovere e alla difesa della giustizia. Una giustizia che è stato uno dei motori della primavera araba e che ha anche provocato, in Israele, per ragioni molto differenti, la nascita di un “governo sociale” dopo venti anni di governi di destra nazionalista.
Difendendo il dovere e il bisogno di giustizia, l’appello di papa Francesco risuona con forza e senza bisogno di interpretazioni né dell’intermediazione dei media. Un messaggio che spazia da piazza Tienanmen alle favele brasiliane, passando per l’Egitto il resto del mondo arabo. Scrive ancora James Carroll “se la chiesa cattolica si gettasse completamente nella battaglia per la giustizia…chiedendo riforme nelle strutture dell’economia mondiale, questo farebbe la differenza”.

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