Pubblichiamo per gentile concessione del Corriere del Ticino:

L’INTERVISTA A VITTORIO DAN SEGRE

«Nella tragedia siriana, l’ipocrisia si unisce alla non conoscenza dei fatti», afferma Vittorio Dan Segre, politologo, fondatore dell’Istituto studi mediterranei presso l’USI. «L’ipocrisia sta nel fatto che finora nessuno ha sentito il bisogno di muoversi anche se 100 mila persone, tra cui migliaia di bambini (oltre 7.000 secondo le stime dell’ONU, ndr.), sono state brutalmente uccise dall’inizio del conflitto, due anni fa. Ma poi appaiono delle fotografie scioccanti, di cui si discute ancora l’autenticità e la responsabilità, che risvegliano il bisogno di agire (l’esperto si riferisce alle immagini delle vittime del presunto attacco con armi chimiche il 21 agosto scorso nei pressi di Damasco, ndr.). Quello che si dice la forza delle immagini e dei media». E qui – secondo il nostro interlocutore – si incontra la prima forma di ignoranza: «Quella di poter aggiustare le situazioni violente con la violenza, cosa che non è mai stata possibile ». La seconda prova della mancanza di conoscenza è l’impossibilità di poter dirigere dall’esterno una situazione di guerra civile, tribale che ormai è fuori controllo (la Libia, con il suo strascico di instabilità post intervento militare, dovrebbe insegnare). «Provarci è un rispondere più alla pressione dei media e della pubblicità che non a un bisogno politico o morale», sottolinea Dan Segre. Un intervento militare in Siria sarebbe dunque assolutamente inutile: «Non farebbe che complicare le cose, allargare il conflitto. Tanto più che di mezzi sul terreno ne sono stati dispiegati parecchi: truppe speciali inglesi, forse anche francesi, di certo americane. Si parla anche di contingenti speciali israeliani. Senza dimenticare il potente esercito che fa parte della NATO, quello turco, schierato lungo i confini che sta dando dimostrazione – ed è questa una grande sorpresa – di impotenza e incapacità di decisione di un Governo che sembrava molto determinato e che aveva appoggiato sin dal primo momento i cosiddetti rivoltosi». Ma non c’è pericolo. Per il nostro interlocutore un intervento militare internazionale contro il regime di Bashar al Assad è poco probabile. «Quasi nessuno vuole partecipare alla missione promossa da USA e Gran Bretagna. Molti cercano una scusa, una copertura giustificativa dell’ONU. Per quel che riguarda l’Europa, tipica è la risposta dell’Italia che di recente ha fatto sapere: “Anche con l’avvallo dell’ONU la nostra partecipazione non è così sicura”. Con degli alleati così, è difficile che ci si possa muovere». Ora torniamo ai presunti attacchi chimici perpetrati dal regime siriano, di cui Stati Uniti si dicono sicuri nonostante gli ispettori ONU sul campo per investigare non abbiano ancora emesso il loro verdetto. «È abbastanza chiaro che unità dell’esercito di Damasco, forse perfino senz’autorizzazione centrale, abbiano usato i suddetti gas. È facile che questo tipo di armi siano cadute in mano a gruppi totalmente irresponsabili e profondamente ostili all’Europa e agli Stati Uniti. D’altro canto è difficile capire come il Governo di Damasco, che conosceva le gravi ricadute dell’uso dei gas, abbia potuto dare l’ordine di farlo. Credo che dietro l’attacco chimico si nasconda un’autorità locale. In Siria esistono truppe che lottano tra loro da due anni per scampoli di territorio. Si odiano e si macellano. Non escludo la possibilità che un comandante locale abbia interpretato male delle istruzioni o abbia voluto fare qualcosa di sua iniziativa per togliersi i nemici di torno». Infine uno sguardo al futuro. Cosa succederà? C’è un’alternativa al regime siriano? «Sembra proprio di no», dice Dan Segre. «Il ritiro di al Assad permetterebbe il rafforzamento di una banda di facinorosi pronti a tutto: uomini di Al Qaeda, combattenti dell’islam fanatici, ecc. con cui le potenze si dovrebbero confrontare. Se invece un’azione militare distruggesse il potenziale delle “forze ribelli” – che non riescono tra l’altro a mettersi d’accordo, dando prova di mancanza di unità – ci si troverebbe di fronte ad un Assad sempre più crudele e deciso a mantenersi al potere. Per cui è meglio che l’Occidente continui ad essere presente sul terreno con azioni limitate, efficaci, lasciando che la palude siriana si stanchi. C’è fine a tutto, anche alla bestialità».

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