Il Commissario Straordinario nella storia d’Italia: dall’Unità nazionale al PNRR
La storia italiana è, in larga misura, la storia di uno Stato che ha dovuto imparare a reagire alle proprie lentezze. Dalla costruzione dell’unità politica alla ricostruzione post-bellica, dalle emergenze sismiche ai grandi cantieri infrastrutturali, la figura del Commissario Straordinario accompagna il cammino della Repubblica come un riflesso costante della sua capacità di affrontare la crisi e di trasformarla in governo. Ogni epoca, nel suo modo di concepire e utilizzare il commissario, ha rivelato qualcosa del proprio rapporto con la legalità, con il potere e con la responsabilità pubblica.
Il Commissario Straordinario nasce, nella tradizione italiana, come risposta alla discontinuità. Già il Regno di Sardegna e, poi, il neonato Regno d’Italia, sperimentano strumenti commissariali per gestire situazioni eccezionali: territori da pacificare, calamità da contenere, infrastrutture da costruire in un Paese ancora diviso da culture amministrative differenti. Nei decenni successivi all’Unità, l’istituto assume contorni mutevoli ma costanti: il commissario è il funzionario straordinario che interviene quando la macchina ordinaria non basta, quando la lentezza o l’inerzia rischiano di compromettere l’interesse generale.
Nel XIX secolo la straordinarietà era, anzitutto, espressione del potere sovrano. I commissari inviati nei territori del Mezzogiorno o nelle aree colpite da disordini sociali incarnavano un potere sostitutivo, eccezionale, talora repressivo, che agiva in nome dell’unità e dell’ordine pubblico. La celebre figura di Cesare Mori, “prefetto di ferro” inviato da Mussolini in Sicilia, resta il simbolo più noto di quella stagione in cui la straordinarietà era sinonimo di autorità, non di efficienza. In quel modello il Commissario Straordinario era soprattutto il braccio operativo del potere politico, un esecutore dell’urgenza, non ancora un garante della legalità sostanziale.
Con la Repubblica, l’istituto si rigenera, mutando natura e funzione.
Il contesto costituzionale ne cambia radicalmente la prospettiva: l’art. 97 della Costituzione introduce il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, e da allora il commissariamento diventa non più espressione di forza, ma strumento di razionalità amministrativa.
Nei primi decenni repubblicani, i commissari straordinari vengono nominati per la ricostruzione postbellica, per la gestione delle grandi opere idrauliche e per la risposta alle calamità naturali. Ogni volta che il sistema ordinario si rivela inadeguato a sostenere la pressione dell’urgenza, la straordinarietà diventa il volto operativo dello Stato.
L’evoluzione più significativa avviene con la legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile.
In essa il commissario assume una funzione strutturale: diventa lo strumento con cui la Repubblica risponde agli eventi emergenziali secondo criteri di legalità, trasparenza e temporaneità. Non più deroga indistinta, ma modello di intervento disciplinato, con poteri definiti, procedure motivate e controlli contabili.
È in questa fase che il Commissario Straordinario cessa di essere l’eccezione pura e si fa istituto regolato, elemento fisiologico della macchina amministrativa. La straordinarietà diviene un linguaggio giuridico ordinario, il mezzo con cui il diritto si piega alla necessità senza tradirsi.
Negli anni Duemila, con l’accentuarsi della complessità infrastrutturale e l’accumularsi delle opere incompiute, la figura del Commissario Straordinario viene progressivamente “normalizzata”.
L’esperienza dei commissari per le grandi opere – dall’AV/AC Torino-Napoli alle infrastrutture autostradali e portuali – inaugura un modello nuovo: il commissario non è più chiamato solo a gestire l’emergenza, ma a governare la complessità tecnica e procedurale.
I suoi poteri non si limitano alla sostituzione, ma si estendono al coordinamento, all’impulso, alla semplificazione dei processi decisionali. È una figura che si muove a metà strada tra l’amministratore e il project manager pubblico, un ingegnere istituzionale capace di dare continuità a progetti di lunga durata che, senza una regia unitaria, resterebbero imprigionati nelle maglie della burocrazia.
Il D.L. 67/1997 e la successiva legge n. 400/1988, con le disposizioni sull’organizzazione del Governo, fissano i principi generali del potere commissariale: delimitazione dei compiti, temporaneità dell’incarico, responsabilità contabile e amministrativa, obbligo di relazione al Parlamento.
È la prima volta che la straordinarietà viene incanalata in un perimetro di legalità formale, dando al commissario la dignità di organo statale, non di mero delegato politico.
A partire dal 2011, con il progressivo ricorso ai commissariamenti per opere infrastrutturali e ambientali, la figura si consolida come architrave della governance pubblica.
L’adozione del D.L. 32/2019 (“Sblocca Cantieri”) segna un punto di svolta: il commissariamento non è più misura eccezionale, ma strumento programmato di attuazione delle politiche infrastrutturali nazionali. Il legislatore ne riconosce la funzione sistemica, attribuendogli poteri di impulso e di deroga, ma sempre entro confini normativi precisi.
È in questa stagione che il Commissario Straordinario diventa sinonimo di “decisione pubblica accelerata”, di amministrazione che non rinuncia alle garanzie ma ne ricalibra l’esercizio in funzione dell’efficienza.
L’ultimo passaggio di questa evoluzione è rappresentato dal D.Lgs. 36/2023, il nuovo Codice dei contratti pubblici, che istituzionalizza un diritto amministrativo dell’urgenza controllata.
Il commissario, in tale cornice, non è più eccezione rispetto all’amministrazione, ma parte integrante della sua fisiologia: un agente pubblico speciale, chiamato a garantire la realizzazione di opere di rilevanza strategica attraverso procedure semplificate ma trasparenti, interamente tracciabili nelle piattaforme digitali ANAC.
In questo senso, il Codice del 2023 ha compiuto un passo decisivo: ha reso la straordinarietà una dimensione misurabile, verificabile, proporzionata, segnando la fine del commissariamento inteso come sospensione del diritto e la nascita di un commissariamento come forma qualificata del diritto.
La pandemia da Covid-19 ha poi confermato, in maniera drammatica ma inequivocabile, quanto questa figura sia ormai divenuta strutturale alla capacità di governo.
Dalla gestione dell’emergenza sanitaria alle opere connesse al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i Commissari Straordinari hanno agito come motori dell’amministrazione, ma anche come garanti di responsabilità e di risultato.
In un tempo in cui l’urgenza non è più eccezione ma condizione permanente, il commissario rappresenta la forma contemporanea della legalità operativa: il punto in cui l’ordinamento riconosce che la rapidità non è un disvalore, ma una necessità da governare.
Guardando all’intero percorso storico, si può dire che il Commissario Straordinario sia il barometro della maturità istituzionale italiana.
Nel suo volto si leggono le trasformazioni del rapporto tra politica e amministrazione, tra decisione e responsabilità, tra regola e azione.
Dalle origini autoritative ottocentesche alla sofisticata ingegneria giuridica del PNRR, l’istituto ha progressivamente abbandonato la logica del potere eccezionale per assumere quella del potere funzionale, orientato al risultato e sottoposto a controllo.
Oggi, in un ordinamento che tende a privilegiare la misurabilità dell’azione pubblica e la trasparenza digitale, il Commissario Straordinario è divenuto simbolo di un nuovo equilibrio tra velocità e legalità, tra autonomia e responsabilità.
Egli non rappresenta più la frattura nel sistema, ma il suo correttivo dinamico; non la deroga che sospende, ma la regola che si adatta.
La sua parabola storica coincide con la traiettoria dello Stato moderno, che da apparato statico si trasforma in organismo reattivo, capace di autoriformarsi di fronte all’urgenza.
Comprendere la storia del Commissario Straordinario significa, in fondo, leggere la biografia dello Stato italiano: uno Stato che ha imparato a non temere l’eccezione, ma a governarla; che ha trasformato la deroga in metodo e l’urgenza in criterio di efficienza.
Dal primo commissario postunitario ai commissari del PNRR, il filo conduttore resta immutato: ogni volta che la straordinarietà si manifesta, non è segno di debolezza, ma di vitalità giuridica.
Il Commissario Straordinario è, oggi come allora, la prova che il diritto amministrativo non è una gabbia, ma un ingranaggio vitale, capace di muoversi con la realtà senza rinunciare alla propria forma.

