Res sacra miser. Sacro è l’infelice, scrisse Louis-Ferdinand Céline a Ole Vinding. Perché spesso custodisce verità inattuali, in anticipo sui tempi, che gli valgono scomuniche e messe al bando. Accadde al dottor Filippo Ignazio Semmelweiss, condannato al manicomio dalla comunità scientifica e a morte dai suoi carcerieri, ma anche a Céline, che a lui dedicò la sua tesi di laurea. Forse non lo sapeva, ma quello scritto giovanile avrebbe praticamente condensato la sua vita. In quell’eretico il suo daimon avrebbe celebrato un futuro al di fuori di ogni conformismo e ortodossia.

Céline1È uscito di recente Louis-Ferdinand Céline. Saggi, interviste, ricordi e lettere (Italia Storica, Genova 2016), frutto di una ricerca che ripercorre la vita di uno dei «maledetti» del XX secolo. Un autore che rivoluzionò e si rivoluzionò, adottando stili diversi, per meglio comprendere le antinomie del suo tempo – che, tanto per cambiare, sono pure le nostre. Un autore, soprattutto, contro, che non sarebbe male leggere oggi, in cui è molto più consigliabile essere pro: pro-maggioranza, pro-minoranze, pro-critica, pro-accademia… Il volume è curato da Andrea Lombardi, animatore di un blog tutto dedicato all’autore e già curatore, tra le altre cose, dello splendido La morte di Céline di Dominique de Roux e di Un samurai d’Occidente di Venner, breviario di chi non si sottomette alla tirannia del nostro tempo.

È a tutti gli effetti un diorama di Céline, che ne affronta la vita come la lingua, gli amori come le infatuazioni politiche. Lui, esteta armato, per dirla con Maurizio Serra, schierato da solo contro la volgarità di un mondo che aveva fatto dell’oro la propria madrelingua. Lui, che affermava il primato dello stile su tutto, anche sulla vita – ché è per assenza di stile che muoiono le civiltà, non per cause materiali…

Ed è proprio lo stile a unificare le sfaccettature letterarie e metaletterarie dell’autore del Voyage au bout de la nuit. Come i tanto deprecati pamphlet, da Mea culpa a La scuola dei cadaveri e Bagatelle per un massacro (questi ultimi banditi dalle librerie ma disponibilissimi on line a mezzo di una semplice googlata…). La critica politicamente corretta ha speso anni e anni per separare il polemista dallo scrittore. Come salvare il Viaggio dalle Bagatelle? Di queste “premure” – le quali spesso non fanno che svilire un autore, consegnandolo tutto imbellettato alla critica ufficiale – nel volume in questione non c’è traccia, segno che finalmente qualcosa sta cambiando nel mondo delle Belle Lettere.

Il fatto che i pamphlet, poi, in Céline siano qualcosa di più che dei trattatelli politici è evidente dalla loro lettura. C’è un aneddoto, raccolto da Lombardi, piuttosto illuminante. Il “collaborazionista” Lucien Rebatet, autore de Les decombres e dello splendido Les deux étandards, scrisse che durante una delle sessioni giudiziarie per l’imputazione di Céline vennero letti alcuni passi delle Bagatelle come prove, e il pubblico non smise di ridere a crepapelle, tanto che non fu più possibile continuare la lettura. Una risata che non nasceva da un antisemitismo latente ma era piuttosto provocata, strappata ai nervi stanchi di una civilizzazione fatta a pezzi. Lo comprese bene uno scrittore d’oltreoceano, il quale, al pari di molti altri, cimentandosi nel dominio delle Lettere pagò il suo debito nei confronti di Céline. «Céline, secondo la mia opinione» è Kurt Vonnegut a parlare, «diede nei suoi romanzi la miglior narrazione storica del totale collasso della civiltà Occidentale in due guerre mondiali, come la videro donne e uomini comuni e terribilmente vulnerabili.» Consapevole di trovarsi a un crocevia della storia, parlò di attualità, ma come? Da un luogo altro dall’attualità stessa, che si esprime nella letteratura ma non vi si esaurisce… È la vita vera quella che amava Céline, quella dei bassifondi della storia, dove le magnifiche e progressive sorti non hanno più valore del delirio di un ubriaco, sovrano interiore in un mondo di rovine. La vita che passa senza soluzione di continuità dalla carne alle lettere, in quel binomio che è la cifra più autentica di Céline, come disse una volta Godard.

Un autore generazionale a cui scrittori, filosofi e intellettuali (termine, quest’ultimo, che non sarebbe piaciuto molto al dottor Destouches…) d’ogni risma ed estrazione hanno dedicato qualche riga, pagine, finanche libri interi: Dominique de Roux e Alberto Arbasino, Gilles Deleuze e Felix Guattari, Gianni Celati e Cesare Cases, Dominique Venner ed Ezra Pound, Robert Brasillach e Charles Bukowski, Saul Bellow e Pierre Drieu La Rochelle, Henry Miller e William S. Borroughs… Questi alcuni dei testimoni del genio di Céline, le cui parole accompagnano il lettore in questo viaggio.

L’hanno chiamato anarchico, più che altro per dimenticarsi e dimenticargli l’errore di essersi schierato dalla parte sbagliata. Più che anarchico potremmo chiamarlo Anarca, attento alle dinamiche del potere ma immune alle sue malie. Un anarchico di destra, se vogliamo, come lo definì Giano Accame nel suo ultimo libro, La morte dei fascisti, che conobbe i carnai della Prima Guerra Mondiale rompendo, al pari di Pound e Jünger, l’incanto del Dulce et decorum est pro patria mori. Un Anarca, critico del materialismo capitalista (emblematico il suo sgomento durante la visita alla Ford, in qualità di medico per la Società delle Nazioni) come di quello comunista, affrescato in Mea culpa, uno dei testi che hanno strappato a chi scrive le risate più sonore di sempre.

Céline2Un Anarca, a cui vale la pena lasciare la parola, citando una sua lettera a Élie Faure del 1934, tra i molti materiali raccolti in un libro imperdibile per gli amanti dello scrittore francese: «Sono anarchico da sempre, non ho mai votato, non voterò mai per niente né per nessuno. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta all’improvviso a suonare lo zufolo solo perché decine e decine di falliti me lo suonano? Perché? per mettermi al loro livello di gente meschina, rabbiosa, invidiosa, piena d’odio, bastarda? Non ho niente in comune con questi froci che sbraitano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla». Eppure, molti altri scelgono vie diverse… Céline ne ha anche per loro: «Si immagina a pensare e a lavorare fra le grinfie di quel gran coglione di Aragon, per esempio? Questo sarebbe l’avvenire? Colui che dovrei adorare è Aragon! Puah! Se fossero un po’ tutti meno cialtroni, se fossero così pieni di buona volontà come dicono, farebbero quello che ho fatto io invece di rompere i coglioni a tutti con le loro stonature». Parlano di rivoluzione, ma non è che apparenza. «La ritardano invece di facilitarla. Somigliano a quei maschi che non han più istinti, che feriscono le femmine e non le fanno mai godere. Non sente, amico, l’Ipocrisia, l’immonda tartuferia di tutte queste parole d’ordine ventriloque! Il complesso d’inferiorità di tutti questi agitatori è palpabile. Il loro odio per tutto ciò che è superiore a loro, per tutto ciò che non capiscono, visibile. Hanno la stessa gran voglia di sminuire, distruggere, di insozzare, di recidere il principio stesso della vita che avevano i preti più volgari del Medio Evo. Gli uni e gli altri forse mi fucileranno. I nazisti mi detestano al pari dei socialisti e i comunisti anche… si intendono tutti quando si tratta di sputarmi addosso. Tutto è permesso, tranne di dubitare dell’Uomo… ma io me ne frego di tutti».

Una terapia per le anime destinata a tempi come i nostri, nei quali trionfa il conformismo, il Pensiero Unico in assenza di pensiero. Che si alzi allora la voce degli eretici, dei dissidenti. Res sacra miser.

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