C’era una volta la sinistra massimalista, quella che per avversario aveva il Capitale. L’eskimo, le canzoni impegnate, Guccini e il 68′, Marcuse, i libri di Lacan, una visione del mondo. Sbagliata, dimostratasi ipocrita, ma un’idea c’era. Le occupazioni, almeno quelle, avevano una base progettuale (assurda per come concepita): la rivoluzione. Oggi, quegli pseudorivoluzionari o almeno molti tra essi, fanno i Professori, specie nelle università. E si lamentano, tanto, dei loro prodotti e sottoprodotti culturali: gli studenti che contestano i tornelli. Come quelli dell’ingresso della biblioteca di Discipline Umanistiche al numero 36 di Via Zamboni: il nemico contemporaneo dell’aitante sinistra collettivista. Cresciuti nell’assoluta certezza che qualunque muretto sia da ostacolo ad un sano processo d’integrazione, dal muro col Messico al tornello della biblioteca il passo è breve. Del resto il nozionismo filantropico dei testi universitari dice che i confini non servono a niente, ma la disoccupazione giovanile è al 40%, i libri delle biblioteche continuano a sparire e, insomma, Marx pure non sarebbe tanto contento. Soprattutto di questi giovinastri che postano la foto di Emilia Garuti sui social, una ragazza che avendo lavorato al 36 di via Zamboni si è sfogata palesando il disagio della sua esperienza. Ma cos’è? Un accenno di lista di proscrizione? La colpa massima, poi, sarebbe quella di essere renziana. Una tornellista renziana: l’avversario assoluto. Fanno quasi venire nostalgia dei loro professori durante la loro giovinezza, quasi. Il sindacato per antonomasia degli studenti, in fin dei conti, non vuole che l’accesso alla biblioteca sia riservato agli studenti, a quanto pare, non vuole un modo di distinguere chi può entrare, perchè paga le tasse, e chi no, perchè non le paga: l’unico modo per tutelare realmente gli studenti. Sfilano, allora, per “riprendersi il futuro” che nel frattempo sta volando via, in questo meraviglioso mondo aperto senza alcuna certezza sociale. Sono rivoluzionari che sfidano i tornelli, postano foto di una ragazza sui social network, quelli del 36 di via Zamboni, sono tutto quello di cui questa generazione non ha bisogno.

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