Di Maio ad Harvard e Pinochet in Venezuela
Luigi Di Maio è ormai il candidato in pectore del Movimento 5 Stelle alla presidenza del consiglio. E da tale si muove. Tanto che il viaggio negli Stati Uniti avrebbe in oggetto addirittura un incontro con Donald Trump. Improbabile, ma staremo a vedere. Quello che è già stato deciso, invece, è l’intervento del vicepresidente della Camera ad Harvard. Una filippica, immaginiamo, sulla piattaforma Rousseau, sulla democrazia del web, sull’idea liquida e webete di partito. O su una specie di esso, per lo meno. Esportiamo, quindi, immaginifiche ed avventuristiche analisi sul miracolo liquido grillino. Giggino Di Maio vuole fa l’americano. Peccato che in America quella roba la conoscano già: loro la chiamano Scientology e non faranno fatica a riconoscerla. Chiara Ferragni, due volte ad Harvard, del suo campo almeno ne sa. Un tizio che posiziona Pinochet in Venezuela ad Harvard difficilmente s’era visto prima. Una delle fortune che Giggino avrà nella sua performance è che in inglese il congiuntivo non esiste o quasi.
Peccato davvero, perché negli States ci invidiano la cultura tradizionalista, le lingue classiche, l’approccio idealistico di Gentile all’organizzazione scolastica, mentre la pappardella di Di Maio la conoscono bene: si trova nei libri dell’ormai compianto Sartori, dalle teorizzazioni sulle “nuove agorà pubbliche” a quella sull’ ” uomo totale”, quell’utente web chiamato a decidere su qualunque questione senza aver nessun tipo di conoscenza specifica in merito. Nel frattempo, in tutta l’anglosfera, fioriscono gli studi sulle cosiddette “lingue morte”, sul diritto romano, sullo ius naturale. Come nella scuola di Bryanston, in Inghilterra, dove le domande degli studenti fra i 16 e i 25 anni, aumentano di anno in anno. Sono proprio gli States, però, a non scherzare per nulla sul fenomeno: dagli anni novanta gli studenti che hanno scelto corsi di greco e latino sono aumentati del 30%.
Questa società civile, del resto, è così. Parla fluentemente, si veste bene, è aggraziata, ma di contenuti non ne ha. Però Di Maio qualcosa da insegnare agli americani ce l’avrebbe. Immaginatelo salire sul palco, con aria soddisfatta, sorniona. Un pò “Don Raffaè” di De Andrè, un po’ Tony Manero : “Prendete l’ ideale di democrazia diretta. Bene. Ora cavalcate l’onda sociale del momento, non prendete posizione su nessuna questione bioetica o di dirompente attualità come l’immigrazione. Nessuna, mi raccomando. Mischiate bene. Date l’impressione che a decidere sia veramente il popolo. L’utente social, nello specifico. Bene. Adesso delegate le decisioni reali al guru di riferimento, nel nostro caso un ex comico. Quello della Biowashball, sì, proprio lui. Uno qualunque, a ben pensarci, basta che urli. Adesso dovreste avere le basi per un fantastico aggregatore di voti senza alcuna identità. Una volta abbracciate il populismo, un’altra i liberal-democratici in odore di eurocrazia. Come preferite, comunque il gioco è fatto: anche quelli che a trent’anni non hanno mai fatto un benemerito potranno avere un futuro radioso”. Ascoltatelo ad Harvard, mi raccomando, è quasi il peggio che possiamo offrirvi. Il meglio lo conoscete già, sono le nostre radici culturali, quelle che provate a studiare e capire per bene, siamo noi che non sappiamo più che farci.