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Papa Francesco ne è sicuro: “Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre”. Perché le diseguaglianze sono troppo evidenti e un sistema socio-economico di questo tipo non può reggere. La condizione di povertà dei molti, insomma, avrà modo di replicare, in qualche modo, allo stradominio dei pochi, cioè di coloro che detengono buona parte della ricchezza internazionale. C’è una statistica dell’Oxfam, che viene aggiornata di anno in anno: conferma quella tendenza e dimostra pure come il tema delle diseguaglianze, per la politica, presenterebbe la necessità di divenire sempre più prioritario. L’implosione, per un trend che non sembra avere alcuna intenzione di arrestarsi, pare l’esito ineluttabile.

Quando Jorge Mario Bergoglio affronta la questione giovanile, si auspica spesso che i ragazzi non siano “zitelloni” e che in presenza di un “confronto” che possa dirsi sano, quegli stessi giovani pongano delle questioni.  Immaginiamo che valga tanto per le generazioni future quanto per quelle che già hanno modo d’incidere sulla gestione degli affari pubblici. C’è un quesito che potrebbe essere posto. Intanto vale la pena domandare come il cosiddetto “populismo” abbia rubato la scena della politica continentale? Il vertice dei vescovi dell’Unione europea ha definito quello dei populisti un “gioco infame”, ma la sensazione, anzi la certezza statistica, è che i consensi dei sovranisti siano alimentati da una classe sociale impoverita che ha smesso d’identificarsi con i partiti tradizionali, che coincidono con l’appoggio pieno e incondizionato all’Ue. Si tratta di quel “ceto in medio in rivolta” – direbbe Alain de Benoist –  che rischia, tramite processi legittimi e democratici, di minare alla base il sistema sovra-istituzionale per com’è stato immaginato. Un “gioco infame”, insomma, a cui partecipa volentieri una parte consistente dei destinatari del messaggio del pontefice argentino. Poi c’è Federico Rampini che, all’interno delle sue ultime disamine, sembra aver perfettamente colto un punto che riguarda l’altro lato del campo: la sinistra non può parlare solo alle minoranze e, soprattutto, non può declinarsi, a mo’ di “partito dello straniero”. Questo, com’è consequenziale che sia, se non vuole essere destinata all’oblio elettorale.  Altrimenti – questa è una delle tante conclusioni derivabili – gli operai finiscono con il preferire la causa della Brexit, per dirne una. Solo che tutto questo è già avvenuto. L’appiattimento verso l’establishment europeista e nei confronti delle minoranze non fa parte di un’ipotesi prospettica: è la realtà da qualche decennio. E sarà difficile cambiare rotta adesso.

Le “vittime della globalizzazione”, le persone che non possono più vantare un’appartenenza mediana nella gerarchia sociale, non solo votano per Donald Trump e per i suoi simili, ma facendo così rivendicano pure la bontà dei muri, dei confini, del rigore in materia di gestione dei fenomeni migratori. Non saranno i poveri a sostentare il populismo, elezione per elezione, ma i “nuovi poveri” invece sì. Lo certificano le stratigrafie elettorali che, dalle presidenziali americane del 2016 in poi, non fanno che raccontare una spaccatura tra i centri delle città, dove si opta per lo più per il “partito della Ztl”, e le periferie abbandonate, quelle che il vescovo di Roma ha di sicuro a cuore, dove la causa populista attecchisce in maniera evidente. Papa Francesco, nel sentenziare su come un modello sì costruito non possa essere destinato a tenere botta nel tempo, con ogni probabilità, ha ragione. Parlavamo di una domanda da fare rispetto alla pastorale del Santo Padre. È questa: come si fa a integrare la necessità ontologica e morale di accogliere gli ultimi, mentre i “penultimi” – come li chiama sempre Federico Rampini – continuano a caldeggiare il ripristino dei confini, dei muri, onde evitare di divenire a loro volta parte delle rilevazioni mondiali sulla povertà?

Sarà un ragionamento populista, ma è proprio quello che sta accadendo. Bene, forse l’analisi della firma di Repubblica non è utile solo per comprendere la parabola del centrosinistra. Magari può essere estesa anche rispetto al piano della Chiesa cattolica, presentando un ulteriore quesito: se le istituzioni ecclesiastiche finiscono con l’occuparsi solo delle minoranze, dei migranti, di coloro che arrivano e non di coloro che già risiedono, chi risponderà alle istanze del “ceto medio”, quello composto dai “nuovi poveri”, che ancora conta molto in termini elettorali? I populisti, no?

 

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