Lei, si chiama Daniela Boscolo, ha quasi 50 anni ed è insegnante di sostegno in un istituto tecnico della provincia di Rovigo.

Lui, Daniele Manni insegna informatica in un istituto tecnico di Lecce. Un uomo e una donna. Uno del sud e l’altra del nord.

Due prof come tanti. Eppure non proprio. Perché uno di loro potrebbe essere dichiarato il prof più bravo del mondo. E ricevere un premio da ben un milione di dollari. Sono infatti i due italiani risultati tra i 50 candidati finali al nuovo «Global Teacher Prize», riconoscimento alla sua prima edizione, voluto dalla Varkey GEMS Foundation che si occupa di educazione nel mondo con presidente onorario l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e tra i membri anche l’attore Kevin Spacey.
Una sorta di Premio Nobel per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado di ogni Paese nel mondo. L’obiettivo? Accendere i riflettori sui “maestri”, sull’importanza del loro ruolo troppo spesso oggi poco riconosciuto se non addirittura bistrattato. E lo fa cercando una figura eccezionale che «abbia dato un contributo straordinario alla professione».

Quasi un eroe dei nostri giorni capace ogni giorno di dare un senso  alla vita scolastica di bambini e adolescenti. I criteri ai quali dovevano rispondere erano parecchi, sintetizzabili in un paio di concetti chiave: ovvero «aprire» le menti dei loro allievi con una didattica innovativa e avere il riconoscimento di colleghi e genitori per i risultati raggiunti. Migliaia di candidature. Selezione serrata.

Risultato: gli unici due italiani sono due insegnanti di discipline chiamiamole non “eccellenti” almeno secondo la considerazione della nostra scuola attuale. Informatica e sostegno. Un punto su cui riflettere…

A sentire i due prof,  ti rendi conto che eccezionali lo sono davvero. Che vincano o non vincano il milione di dollari, hanno le idee ben chiare su quello che significa essere un insegnante nell’era 2.0.

Eccole.

«Non ho avuto docenti che mi hanno “ispirato” quando ero ragazzo – racconta da Lecce Daniele Manni – ma a un certo punto della mia professione mi sono reso conto che non era scritto da nessuna parte che il prof entra in classe dove i ragazzi ti vedono quasi come un nemico, si siede e fa la solita lezione... La società è cambiata. Non so se in meglio o in peggio. Ma I ragazzi  fuori dalla scuola sono bombardati dalle infomazioni, dal web che va veloce. Poi arrivano in classe e sono costretti a passare ore e ore ad assistere a lezioni tradizionali. È una noia mortale. La scuola è un ambiente che appiattisce quello che succede fuori. Sui contenuti non discuto, forse abbiamo i più eccellenti al mondo. Ma dobbiamo rivedere le modalità con cui ci poniamo in classe. Anche nelle materie più classiche».

Quindi, lui ha portato la multimedialità a scuola. Gli veniva anche facile come insegnante di informatica. Ma quello che fatto è stato di più. Nel 2004 ha creato insieme a un collega una cooperativa a scuola che offre supporto organizzativo e anche economico ai ragazzi che vogliono realizzare una start up. «Mi piacciono le cose concrete», dice e così da quest’anno la società ha abbandonato le aule della scuola e ha preso in affitto due locali in città.

Nel frattempo ha diviso la sua classe 5ª di quest’anno in cinque gruppi. Ognuno doveva inventarsi una sturt up, realizzarla e farla funzionare. Per davvero. Il voto più alto? «Preferisco che escano da scuola dopo avere imparato non solo come si fa qualcosa ma anche dopo avere testato per 9 mesi un’attività imprenditoriale vera con clienti, guadagni, e perchè no, pure fallimenti dai quali si impara moltissimo». E se vincesse il milione di euro? «Lo investirei nell’altro progetto… “N2Y4“, “never too young for“ per tenere aperta la scuola anche il pomeriggio con laboratori di musica, arte, businnes».

La scuola italiana è ricca di contenuti, ma non tiene il passo. Salvo casi eccezionali. «Per la didattica siamo fermi all’età della pietra – commenta anche Daniela Boscolo – Ci deve essere la formazione obbligatoria per gli insegnanti, naturalmente non a spese proprie, visti gli stipendi  che si prendono. Siamo fermi alle lezioni frontali ma in questo modo non riusciamo a superare il livello delle semplici conoscenze per arrivare invece alle «conoscenze agite» e quindi alle competenze». Parla al plurale anche se lei, per inciso, è stata già designata «insegnante dell’anno». Insegnava inglese poi si è specializzata nel sostegno. Il suo impegno sta tutto nell’inclusione della diversità a scuola. «Abbiamo una legge all’avanguardia nel mondo ma funziona solo sulla carta». Lei a scuola ha realizzato un supermercato. Vero. Con l’aiuto dei centri commerciali vicini ha aperto l’emporio dove i ragazzi studiano le lingue, la matematica e molto altro.
Che dire. Per noi hanno già vinto.

COS’E’ IL PREMIO
I candidati verranno giudicati per la capacità di aprire la mente dei propri alunni, per il contributo offerto alla comunità e per l’incoraggiamento dato per abbracciare l’insegnamento.

I primi 50 candidati sono stati scelti tra oltre 5.000 nomi e 1.300 candidature finali provenienti da 127 Paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Kenya, Uganda, India, Afghanistan, Australia, Argentina, Messico e Giordania e altri.

In questa lista di 50 nomi figurano rappresentanti di 26 nazioni. Mettendo in luce le loro storie, la Varkey GEMS Foundation spera di stimolare il dibattito sulle qualità più importanti di un buon insegnante. Il vincitore o la vincitrice verranno annunciati lunedì 16 marzo 2015 al Global Education & Skills Forum a Dubai.

 

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